Foto Unipublic / Charly Lopez via Aso 

Vuelta a España 2022

Primoz Roglic e il richiamo dell'asfalto

Giovanni Battistuzzi

Lo sloveno si è ritirato dalla Vuelta per una caduta, l'ennesima. Il complicato rapporto del corridore della Jumbo con la gravità lo ha trasformato in Paperino

È come ci fosse un’attrazione irresistibile tra loro. Come se la prima lo chiamasse, lo bramasse, insistesse per averlo, e lui – si può davvero riuscire a fuggire da tanto desiderio? –, dopo aver lottato e cercato di allontanare il momento il più possibile, a un certo punto, non riuscisse a farne a meno e si concedesse a lei. Con però il pentimento di chi aveva detto basta e aveva pure creduto, e per parecchio, di esserci riuscito.

La terra a essere imprecisi, l’asfalto a essere pignoli, il suolo a essere generici, vuole Primoz Roglic, reclama il suo corpo. Gli sussurra all’orecchio frasi dolci, ammalianti, il ricordo di quando si gettava con gli sci da un trampolino per avere la possibilità di illudersi di volare. Un’illusione, perché il salto con gli sci guarda al cielo, ma è la terra, che poi è neve, che conta, perché è lì e non altrove che i punti si sommano (o sottraggono), è lì che, in fondo, si vince.

La vita di Primoz Roglic, come quella di tutti, ha sempre avuto a che fare con la gravità. Ma se per noi donne e uomini da divano e lavoro la gravità è permanente, e di lei ci accorgiamo solo quando un piatto ci sfugge di mano o un piede manca il passo e ci troviamo più o meno distesi, la gravità per Roglic è invadente, trova sempre il modo di essere protagonista. È un filo conduttore del suo passaggio in questo ciclismo. Soprattutto negli ultimi anni. Martedì l’ultima riprova.

Verso Tomares, sedicesima tappa della Vuelta a España 2022, lo sloveno aveva deciso di iniziare l’ultima settimana di corsa con il primo assalto alla maglia rossa vestita da Remco Evenepoel. Era mica tappa da rivoluzioni quella che terminava a Tomares, uno strappo nei chilometri finali e poco altro, ma a volte uno schiaffo non aspettato fa più male che un pugno atteso. Roglic era scattato, alle sue spalle s’era creato un esiguo manipolo di corridori, tutti velocisti in cerca di una vittoria di tappa senza nemmeno l’ombra di un corridore di classifica. Roglic aveva dato seguito allo scatto con una tirata continua e incessante di tre chilometri, il gruppo inseguiva a distanza di secondi e senza Evenepoel che s’era attardato a causa di una foratura. Lo sloveno sapeva che non aveva possibilità di vincere la tappa, che avrebbe raggranellato solo pochi secondi, ma sapeva anche che era meglio averli che non averli, soprattutto perché potevano non esserci. E trovare secondi in tappe nelle quali non se ne dovrebbero guadagnare ti mette addosso quella strana convinzione che anche un minuto e mezzo di distacco non è poi molto da rosicchiare.

Si deve però mai compiacersi di un risultato prima di avere la certezza d’averlo colto. Nemmeno quando al traguardo mancano appena cinquanta metri. Primoz Roglic era riuscito a sfuggire per una Vuelta intera al richiamo della terra, l’ha incontrata a poco più di cinquanta metri dal traguardo di Tomares. S’è trovato disteso sull’asfalto e forse neppure lui sa come c’è riuscito. Sa mai Primoz Roglic perché si ritrova a terra, ma ci si ritrova spesso. E trovandocisi spariscono davanti a lui quelle opportunità che si era creato. Sull’asfalto ha gettato una Parigi-Nizza che aveva già vinto (2021); un Tour de France (2021) che sperava di vincere per rendere a Tadej Pogacar lo “sgarbo”, che in realtà era una rivolta, un ribaltamento di prospettiva, dell’anno precedente; un altro Tour (2022) ma da luogotenente con licenza di vincere; ora la Vuelta: ritirato e senza possibilità di appello, soprattutto senza possibilità di ribaltamento di una corsa che Evenepoel non dominava più, ma controllava ancora parecchio bene.

     

          

Se la può mica prendere con la gravità però Primoz Roglic, con le sue leggi. Se la dovrebbe prendere con quella sua capacità eccezionale di complicarsi la vita quando questa in realtà sarebbe parecchio semplice, la sua maldestrezza, che, a volte, lo trasforma in Paperino, lo spinge verso un rastrello con il pettine all’insù. E anche se questo è fluo, visibilissimo, lui ci mette comunque il piede, in modo da potersi prendere il manico sul becco.

Roglic non vincerà la sua quarta Vuelta a España consecutiva, s’è fermato a Tomares, lì dove ha trovato ancora una volta il suo centro di gravità invadente.

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