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Ci sono grandi ciclisti anche nelle micro nazioni

Andrea Trapani

Le fughe (anche dai videogiochi) di Victor Langellotti dal Principato di Monaco, le salite di Daniela Veronesi anche lontano dal Monte Titano, il senso del tempo di Stefan Küng partito dal Liechtenstein. Grandi storie in bicicletta in piccoli stati

Victor Langellotti è una delle storie più belle del ciclismo di questa estate. Prima di ritirarsi nel corso dell'ottava tappa di questa Vuelta a España per una frattura alla clavicola, è stato la maglia a pois della corsa spagnola, conquistata nella quinta tappa tra Irun e Bilbao. Un’occasione che gli ha permesso di condividere la storia della sua vita, un successo non legato solo al ciclismo, che lo ha visto affrontare e superare una dipendenza sempre più diffusa, quella da videogiochi.

   

Facciamo un passo indietro. Il ciclismo è pane quotidiano in casa Langellotti, nonostante le strade di casa siano tra le meno indicate per pedalare in sicurezza. Langellotti, infatti, nasce e cresce nel Principato di Montecarlo, riuscendo a emergere nel complicato mondo del ciclismo internazionale fin da juniores. In realtà, dal 2018 al 2019, gareggia in poche gare, complice anche il fatto che la sua squadra, la Burgos, essendo una squadra Professional, non ha così tante occasioni per farlo. Il vero problema però è un altro: come ammesso dallo stesso corridore, per anni non si è allenato e preferiva passare la giornata davanti alla tv a giocare alla console. Salire sul palco di Bilbao per indossare la prima maglia a pois della sua carriera è servito a esorcizzare una storia che poteva avere tutt’altro epilogo: infatti, nei mesi scorsi, la sua squadra aveva pensato di tagliarlo visto che Victor di sovente non si presentava nemmeno ai ritiri. Basti pensare che, nel 2020, ha corso appena una gara, ovvero gli Europei con la sua Nazionale, solo perché invitato, grazie al “diritto di tribuna”, dal padre presidente della Federazione ciclistica monegasca. È stata la sua fortuna, perché da quel momento è riuscito a voltare pagina.

 

Piccoli stati e ciclismo: non solo fisco

L’altra particolarità di Langellotti è proprio la nazionalità monegasca, provvidenziale per salvare la sua carriera. Victor è un vero cittadino di Montecarlo, insomma non è uno dei tanti sportivi che ha scelto di risiedere in una micronazione più per i vantaggi fiscali che per i legami affettivi. Non è da solo, un altro vero monegasco, Antoine Berlin, lo scorso anno ha messo nel suo palmares risultati di un certo valore come il decimo posto nella tappa del Galibier al Tour de Savoie Mont-Blanc. Prima di loro solo Laurent Devalle - che negli anni Venti del secolo scorso prese parte a tre Tour de France conquistando anche un dignitoso 35° posto in classifica generale - e Albert Vigna – anch’egli protagonista al Tour, edizione 1926 – avevano fatto inserire la bandiera monegasca nella punzonatura del ciclismo che conta. Quella però era un’altra epoca, le stesse piccole nazioni non attiravano le attenzioni che hanno ora.

 

Nel 2019, ad esempio, erano 51 i corridori che avevano stabilito la propria residenza in un altro Principato, quello di Andorra, attratti dai vantaggi fiscali e dalle condizioni, climatiche e logistiche, favorevoli all’allenamento in altura. Nello stesso periodo, proprio a Monaco, risiedevano 44 ciclisti professionisti, tra cui Chris Froome, Peter Sagan e Nairo Quintana.

 

Vicino a noi anche la Repubblica di San Marino sta tornando ad essere la patria dei ciclisti. Non perché sia un paradiso fiscale, ma perché rappresenta “una vera e propria sede per viverci e per allenarsi” tengono a precisare dal Monte Titano. In realtà i soldi c’entrano eccome: approvata nel dicembre del 2020 ed entrata in vigore nel giugno 2021, la legge sulla "residenza atipica a regime fiscale agevolato" ha attirato le attenzioni di molti sportivi. Tra questi anche nomi illustri del ciclismo come il giovane talento eritreo Binam Girmay o il campione del mondo Under 23 Filippo Baroncini.

 

San Marino, oltre all’Alfa Lum e ai suoi successi, ha regalato anche piccole ma vivaci storie di ciclisti locali. Diversi sammarinesi hanno corso in squadre professionistiche, oltre a essere protagonisti alle Olimpiadi con risultati interessanti come quelli di Salvatore Palmucci (40° a Roma 1980) oppure quelli di Gerard Lettoni ed Enzo Frisoni, arrivati assieme, rispettivamente 60° e 61°, nella gara in linea di Città del Messico nel 1968. I risultati migliori però sono arrivati nel campo femminile con Daniela Veronesi che, oltre a numerosi successi nei “Giochi dei piccoli stati”, su strada ha vinto due tappe al Giro d'Italia e una al Tour de France, oltre ad essersi regalata un ottavo posto nel Mondiale 1999 di Verona. Mica male.

 

Escludendo il Lussemburgo, ormai troppo popoloso per entrare nelle storie sportive delle micronazioni, anche Andorra può vantare un connazionale sulle strade del Giro d’Italia: nel 1993 Xavier Pérez si presentò sulla strade della corsa rosa con la maglia della Festina-Lotus, apice di una carriera che si è chiusa con alcuni successi in gare minori.

 

Küng e il Liechtenstein: le medaglie per la nonna e per gli zii

La storia più interessante forse però si racchiude tra le Alpi svizzere. Stefan Küng, ormai vicino ai 30 anni, è uno dei talenti più interessanti del ciclismo contemporaneo tanto che, per le caratteristiche tecniche e le origini, a lungo è stato considerato l'erede naturale di Fabian Cancellara. In realtà i due ciclisti sono diversi, impareggiabili i due palmares ma lo svizzero Küng ha una doppia vita. Letteralmente. Ha vinto molto in casa, ben quattro campionati svizzeri, ma oltre a quella quella elvetica possiede un’altra cittadinanza: quella liechtensteiniana. Le sue origini nel Principato che ha come capitale Vaduz sono reali: anche in questo caso nessun trucco, sua nonna è del Liechtenstein e sua madre ha trasmesso ai figli la doppia cittadinanza. Ora Küng vive e gareggia con licenza svizzera, ma – dicono le cronache – non è difficile vederlo in Liechtenstein in visita dai parenti.

Un legame così profondo che, all'inizio della sua carriera, aveva deciso di rappresentare proprio il piccolo Principato, un modo per dare sfoggio della sua classe a suon di medaglie ai “Giochi dei piccoli stati d’Europa”. A volte, anche un colpo di pedale può essere più potente di un passaporto.

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