Il Foglio sportivo
Quando i campioni dell'Europa siamo noi
Non soltanto Jacobs e Tamberi, Paltrinieri e Ceccon: è un’Italia che vince dovunque. Calcio a parte
Riguardo ai politici esistono molti distinguo o tentativi di camuffamento e rassicurazione, ma sullo sport non ci sono dubbi: è europeista convinto. Draghiano, perfino. L’Europa siamo noi. A un anno dalla straordinaria estate del 2021, manca all’appello solo il calcio, mentre tutte le altre discipline hanno sbaragliato la concorrenza continentale. Dal nuoto a Roma, con le sue cifre da grande potenza a Monaco di Baviera con i campionati europei multisport dove abbiamo raccolto medaglie ovunque, dal ciclismo alla ginnastica, dal canottaggio all’atletica leggera, dove, abbiamo rivisto d’oro insieme le due stelle giapponesi, Marcel Jacobs e Gianmarco Tamberi.
Non ci siamo fatti mancare nulla, in tutte le discipline, tennis compreso anche se è mancato l’acuto di Wimbledon con Matteo Berrettini che, ripreso il Queens si è preso il Covid. Però, anche qui, abbiamo una squadra, con Lorenzo Musetti che si è iscritto al club dei vincitori di un torneo (Amburgo). Abbiamo campionesse di bravura e bellezza come le ragazze della ginnastica artistica prime nel medagliere, abbiamo campioni di fatica come Elia Viviani che poche ore dopo il settimo posto nella prova su strada (209 chilometri) va in pista per l’oro nella corsa a eliminazione.
Un deja vu. Sembra di stare nel 2021, senonché, all’appello, manca il caro vecchio calcio. Dopo essersi issato sul tetto europeo a Wembley, cantando in faccia agli inglesi “football is coming Rome”, il football, ahinoi, a Rome è rimasto, fallendo la qualificazione al Mondiale. Eppure il calcio è sicuramente quello con più risorse o comunque quello che spende di più: 1,7 miliardi in tre anni (calcolo di Marco Iaria, Gazzetta dello Sport) per raccogliere, a livello internazionale, solo la Conference League della Roma. In Serie A, poi, ci sono il 20 per cento di stranieri in più rispetto a dieci anni fa. Gli altri sport, quelli che mietono medaglie continentali, invece si districano in mezzo a mille difficoltà, ingigantite, negli ultimi due anni, dai problemi legati al Covid.
Perfino il nuoto, che ha concluso mercoledì il suo cammino in piscina, si deve sbattere, come ha ricordato, nel “bollettino della vittoria”, il presidente Paolo Barelli, sottolineando l’apporto fondamentale di tecnici, dirigenti e società: “Invoco e auspico una costante attenzione da parte delle istituzioni affinché sostengano con misure idonee la ripresa e/o il prosieguo delle attività fortemente compromesse dalla pandemia e dai rincari energetici. Senza il contributo prevalente di società e associazioni lo sport in Italia non esisterebbe e di conseguenza non esisterebbero neanche le medaglie internazionali, l’entusiasmo degli appassionati, l’emulazione che produce ciclicità di risultati e modelli positivi per i giovanissimi”.
Eh sì, gli sport che ci stanno facendo dominare in Europa si districano tra mille ostacoli, scarsità di impianti, costi di gestione, assenza di sostegno quando non barriere da parte dello stato. I campioni di oggi sono i ragazzi che ieri, spesso nella remota provincia, volontari, appassionati, amateur hanno aiutato a cominciare, hanno valorizzato e segnalato alle varie federazioni. Questo modello è evidente specialmente nel nuoto dove il rapporto tra base e vertice è diretto e permette di portare alla ribalta la “generazione di fenomeni” che abbiamo visto in azione nell’acqua del Foro Italico.
Ma anche gli altri sport “europei” non si discostano molto da questo modello. Da noi lo sport è un movimento dal basso, raramente aiutato dall’alto. C’è ancora molta disparità tra nord e sud, come in tutti gli altri aspetti della vita pubblica. Nel nuoto, sebbene sia raro che un atleta di talento sfugga allo scouting federale, gli ultimi dati dicono che il 42 per cento delle società sono nel settentrione, il 32 al centro, il 26 in meridione. A proposito di sacrifici, un esempio: la rampante Benedetta Pilato (che ora sta a Roma all’Aniene; e dove se no?), per non lasciare da ragazzina Taranto, percorreva 32 chilometri al giorno per allenarsi.
Non si vuole qui, fare il solito peana strappalacrime sugli sport olimpici buoni e santi e sul calcio brutto e cattivo, ma solo parlare di programmazione, strategie. Così il nuoto è passato dall’Europeo del 1995 a Vienna, l’ultimo senza ori, a quello del 2022 a Roma (13). Allora, la manifestazione si svolse nel parco del Prater, tra la celebre ruota, le casette di campagna dei viennesi e i chioschi del pollo arrosto (quanti articoli unti). La piscina della Santa Waterpolo venne sistemata all’interno dello stadio. Molto scenografico, affascinante e alla fine meraviglioso per il doppio oro, Setterosa-Settebello.
La spedizione tornò con 9 medaglie, oltre alle due d’oro della Santa Waterpolo (che dal 1999 fa un torneo a parte), altre sette, una d’argento e sei di bronzo. Il nuoto in piscina arrivò a 3, l’argento di Ilaria Tocchini nei 100 farfalla, i bronzi di Luca Sacchi (da più di un ventennio voce tecnica della Rai) nei 400 misti e della staffetta 4x200 sl con un Max Rosolino rampante. L’argento di Ilaria, allenata da Stefano “il Moro” Morini (già guida di Paltrinieri e sempre del nipote Gabriele Detti) ci tirò su il cuore. Adesso l’argento di Gregorio Paltrinieri nei 1.500 ci fa star male. Adesso le medaglie, solo del nuoto, sono state 35: 13 ori, 13 argenti, 9 bronzi. Nello sport italiano-europeo, pur tra errori, litigi (il successo non è bello se non è litigarello) e difficoltà, funzionano sistema ed effetto trascinamento. Cioè i due aspetti inesistenti nel caro vecchio calcio.
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