Il Foglio sportivo - iL RITRATTO DI BONANZA
Lorenzo Musetti, la forza della diversità
Quella del tennista italiano contro Alcaraz ad Amburgo è stata la classica partita che non si spiega, e quando questo accade, siamo spesso di fronte a una mezza rivoluzione
Mi sono chiesto, guardando la partita tra Musetti e Alcaraz, quanto delirio vi fosse nella prestazione dell’italiano. Quanto cieco fosse ogni suo colpo, quanto scomposto, casuale, istintivo e per questo sublime. Sembrava di assistere all’opera di un artista sensoriale, assorbito da uno slancio vitale, operante per sé, come si dice, e non in funzione di qualcosa o qualcuno oltre a lui, in questo caso l’avversario. Il quale, a tratti, assisteva stupito, in certi momenti stupido (senza offesa, solo per rimarcare lo smarrimento), al gioco incongruente del toscano. Quella di Musetti è stata la classica partita che non si spiega, e quando questo accade, siamo spesso di fronte a una mezza rivoluzione. Leggendo tra le scarne pagine biografiche di cui siamo in possesso sulla vita del ragazzo di Carrara, scopriamo ancora una volta una forma di discendenza padre/figlio, nella formazione stilistica di un uomo. Il padre di Musetti era un grande tifoso di Roger Federer, l’ultima scimmia nell’evoluzione della specie del tennista.
Il signor Francesco, appassionato di rovesci a una mano, accompagnando il figlio al circolo più vicino, gli sussurra nell’orecchio che la palla si colpisce esattamente così, a una mano, sia a destra che, e qui sta l’eccezione rispetto al panorama circostante, a sinistra. Non è un maestro il signor Francesco ma semplicemente un esteta. Lavora il marmo, ma non è un artista, però conosce la bellezza, ne è probabilmente affascinato, come tutti del resto. Ma a differenza di molti, il signor Francesco ha coraggio (o incoscienza, non si capisce mai bene il limite tra le due inclinazioni), e non fa calcoli sul futuro del figlio. Sceglie per lui la strada più impervia, la più tortuosa. Tatuando sulla pelle del figlio il ritratto di un dio greco (è solo per dire), si sottopone al rischio di marchiarlo per sempre con un ideale, anziché un’idea, rendendolo schiavo dell’irraggiungibile, intenzione magistrale, se devo aggiungere una nota a piè di questo discorso.
Sulle prime funziona tutto, il piccolo Musetti reagisce alle sollecitazioni con naturalezza, come se il padre avesse centrato in pieno il quadro psicologico del figlio. Musetti incanta e vince, superando con adolescenziale orgoglio la soglia dell’imbarazzo per un tennis tanto diverso da quello dei suoi coetanei. Poi, crescendo, superata la maggiore età, posto a confronto con la vita dei grandi, così miserevole nei confronti del “diverso”, ha cominciato a farsi qualche domanda di troppo, di fronte a uno specchio che lentamente si stava deformando. Sembrava l’inizio della fine di una bella storia. Poi è arrivata l’estate, Amburgo, una città di porti e conseguenti navi. Musetti è sbarcato dal cielo, si è disunito come se fosse un bambino, e forte di una straripante diversità, ha battuto il discendente di Nadal.
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