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Mundial '82 - noi che non c'eravamo

Italia-Brasile 3-2 è stata il nostro secondo 25 aprile

Giovanni Pastore

La vittoria che ha reso vero l’impossibile, ha anche compiuto un sacrilegio perché il Brasile in quel 1982 era un'opera d'arte, caduta vittima dell’incantesimo di Paolorossi

Italia-Brasile 3-2 diede corpo e materia all’impossibile. “Non è un’eresia”, titolava il giorno prima la Gazzetta dello Sport: cercando di farsi coraggio, accostava il pronostico di una partita di calcio a una dottrina anticlericale. Il Brasile 1982 era un’opera d’arte: sconfiggerlo era come prendere a martellate la Pietà di Michelangelo. Batterlo fece entrare tutto il paese in uno stato di grazia e di euforia che si sarebbe protratto almeno fino alla fine del decennio, prima che le cupezze dei primi anni Novanta mutassero pesantemente lo scenario. Ma se, come diceva Churchill, gli italiani trattano le partite di calcio come se fossero guerre, ci fu anche qualcuno che perse: in quarant’anni vi siete mai messi nei panni degli sconfitti? Cosa sarebbe successo per esempio se al 90’ Zoff non fosse riuscito a trattenere il colpo di testa di Oscar, se la palla gli fosse scivolata tra le mani e fosse rotolata beffarda nel sacco del Sarrià? Tutto sarebbe molto diverso: i brasiliani, il calcio, tutti noi.

 

A cadere vittima dell’incantesimo di Paolorossi non furono i picchiatori argentini né i sussiegosi francesi né gli snobboni inglesi né gli spigolosi tedeschi, ma purtroppo il Brasile. Scriviamo purtroppo pur sapendo bene che la superbia parte a cavallo e torna sempre a piedi; scriviamo purtroppo perché il Brasile 1982 era una squadra oggettivamente poetica, con un’idea di calcio visionaria con il lieve difetto di preoccuparsi molto poco della fase difensiva, più per attitudine dei singoli individui che per filosofia di gioco. Se fosse sopravvissuta al pomeriggio troppo azzurro del 5 luglio 1982 avrebbe vinto il Mondiale in carrozza e a quel punto, sospettano in molti, il calcio avrebbe vissuto un nuovo Rinascimento improntato sulla bellezza, sulla fantasia e sulla gioia di vivere – tutte cose soffocate per sempre dal feroce senso pratico di quella masnada di grandi italiani.

 

Sarebbe bastato un Dunga o un Casemiro per serrare le fila sull’1-1 o sul 2-2 o quantomeno evitare le due clamorose dormite collettive che portarono al secondo e terzo gol di Rossi. Fu un’implosione inspiegabile secondo la logica di chi aveva sbeffeggiato ogni singolo minuto trascorso in campo da Paolo Rossi fino a quel momento. Tirammo in porta tre volte e segnammo tre gol. Il loro portiere, il povero Valdir Peres, prima e dopo essere fulminato tre volte non effettuò neanche una parata. Un delitto in pieno sole, efferato e ineffabile. Il Brasile visse quei 90 minuti come un trauma pari solamente alla tragedia del Maracanazo e da quelle dolorose macerie, abbinate a quelle del 1986, imparò ad andare oltre l’istinto e accettò l’idea che ogni tanto bisognava anche guardarsi alle spalle. I suoi due successivi titoli mondiali, nel 1994 e nel 2002, furono la messa a frutto di quell’amarissima lezione.

 

E a noi, cosa sarebbe successo? Cosa ci saremmo persi? Certamente un bel po’ di ottimismo, fiducia nel futuro, capacità di sorprenderci: ma questa è bassa retorica buona per un convegno di Italia viva. Avremmo perso il sonno a riguardare il gol del 4-2 di Antognoni, buonissimo e annullato, un minuto prima del colpo di testa di Oscar, avremmo volentieri fatto allusioni sull’arbitro israeliano Klein e sul suo assistente di Hong Kong, avremmo come sempre dato la colpa a chiunque fosse altro da noi. E questa è una lezione per tutti quelli che rimpiangono acriticamente i tempi andati: il Var sarà anche discutibile, ma perlomeno ha cancellato per sempre scempi del genere. Forse non avremmo mai visto dal vivo Zico, Maradona, Van Basten. Avremmo dovuto cercare altri strumenti per propagare la nostra irrespirabile dialettica sugli italiani-brava-gente.

 

Avremmo un altro po’ navigato a vista, brancolato nel buio, continuato a piangerci addosso, cantandocela e suonandocela da soli, ma poi avremmo comunque trovato un motivo di conclamata italianità riconoscibile con uno schiocco di dita in ogni angolo del globo, com’è successo per anni dal 6 luglio 1982 ogni qual volta che un forestiero ha capito chi siamo e ha sghignazzato indicandoci col dito: “Italiano, Paolorossi!”. Allora meglio che quel giorno ci sia stato. Italia-Brasile 3-2 è stato il momento in cui tutti quelli nati dopo la Seconda guerra mondiale hanno realizzato cosa vuol dire essere italiani. Italia-Brasile 3-2 è stata il nostro secondo 25 aprile.

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