Il pavé al Tour de France è un giochetto di prospettiva

Giovanni Battistuzzi

La quinta tappa della Grande Boucle la vince Simon Clarke al photofinish su Taco van der Horn. Pogacar sta in piedi sul pavé, stacca tutti (soprattutto Roglic), ma il cronometro dice che guadagna tredici secondi appena. Sarebbe piaciuto a Freud il ciclismo

La ragione ce l'ha sempre chi sta in piedi. Soprattutto sulle pietre. Soprattutto quando le si affrontano al Tour de France. C'entrano niente le pietre al Tour de France, dicono quelli che si perdono indietro, secondi, a decine, o minuti. E sono tanti, i più. Che spettacolo il pavé al Tour de France, dicono gli altri, quello che il ciclismo lo guardano dal divano e da bordo strada, e chi sta davanti. Che non è questione di essere specialisti delle pietre per affrontare le pietre al Tour de France, o almeno non soltanto. È questione che uno la bici deve saperla guidare, e pure bene, e deve soprattutto starci in sella e ben lontano dal suolo. La ragione è dalla loro, di chi sta in piedi. E pure il tempo. Il tempo della classifica generale e quello che arriverà e che sarà molto più sereno, che affannarsi nel recupero è sempre una gran seccatura.

O il tempo extra, quello che ci vuole per appurare che un colpo di reni è uscito meglio dell'altro: come quello di Simon Clarke ha anticipato quello di Taco van der Horn. Di qualche centimetro appena, che è servito il photofinish perché va a finire spesso così, che dopo centinaia e centinaia di chilometri sono i centimetri a contare. Anche per chi ne ha pedalati centotrentotto su centocinquantasette in fuga (tra loro ancora Magnus Cort, maglia a pois all'ennesima avventura in d'avanguardista anche in una giornata dopo di Gpm non ce ne era nemmeno mezzo) a scappare da un gruppo che gruppo era, poi non lo era più e infine non si è capito bene cosa fosse. La polvere ha confuso tutto, ha reso ogni cosa parecchio complessa, quasi indefinibile.

È un giochetto prospettico il ciclistico, soprattutto quando ci sono di mezzo tutte quelle alternative all'asfalto che un tempo erano normalità e che ora sono un altrove a pedali. Un giochetto prospettico nel quale ognuno vede un po' quello che vuole a seconda della posizione nella quale lo guarda. Si sarebbe preso bene per il ciclismo uno come Freud.

Tadej Pogacar non ha mai corso un Parigi-Roubaix, eppure è sempre stato in piedi, ha mai messo né piede né corpo a terra. La ragione è dalla sua, l'evidenza che sarà dura batterlo pure. Si stacca mica facilmente uno come Pogacar, anche perché se ha staccato tutti in una tappa dove c'erano cinquecento metri di dislivello figurarsi altrove. L'aveva mai corsa neppure Primoz Roglic. Non gli è andata bene come a Pogacar. Vanno mai bene le cose a Roglic, almeno al Tour de France. C'è sempre qualcosa che non va, i suoi fantasmi ritornano a farsi vivi, lo avvolgono, gli impongono il prezzo da pagare. C'è sempre qualcosa che va storto al corridore sloveno della Jumbo. Oggi una caduta dopo averne schivate almeno tre.

   

Foto A.S.O./Pauline Ballet
    

È una questione di prospettiva pure il risultato finale. Perché quello che ha detto la strada e il suo fluire di ruote e delle gambe che le hanno mosse, non lo ha detto il cronometro. Tredici secondi, quelli guadagnati da Pogacar a Jonas Vingegaard, Geraint Thomas, Daniel Martinez, Adam Yates, Romain Bardet, Damiano Caruso e compagnia sono un discreto gruzzolo, ma nemmeno troppo. Un gruzzolo che poteva essere maggiore, ma che più cospicuo non è stato perché nel caos totale nel quale è capitombolata la Jumbo-Visma, tra cadute, forature, incomprensioni, bici cambiate donate cedute riprese, in qualche modo si è ritrovata compatta quando la strada concedeva alla moltitudine di andar più forte dei pochi. Soprattutto se si ha come gregario di giornata uno come Wout van Aert. Si è visto ieri in che condizione è Wout van Aert.

E così, almeno in classifica generale, chi aveva idea di ritagliarsi un posto sul podio ha ancora idea che un posto sul podio se lo può ritagliare. Primoz Roglic e Ben O'Connor a parte, che due e tre minuti sono un bel peso in saccoccia. Non si cruccino troppo però. Poteva andare peggio, che può sempre andare peggio: Jack Haig il resto del Tour de France se lo guarderà dalla televisione. Qualcun altro, potrebbe fare lo stesso, ma da domani, levata via la polvere e contate le ferite.

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