AP Photo/Manu Fernandez 

Oltre le rimonte. Il Real Madrid sa rinnovarsi come nessuno

Francesco Gottardi

Via CR7, Sergio Ramos. E i Blancos ci mettono appena quattro anni a tornare in finale di Champions: tra protagonisti nuovi e ritrovati, c’è un perché manageriale se arrivano (quasi) sempre in fondo in Europa

Essere il club più grande della storia significa non stancarsi mai di scriverla, la storia, nonostante un passato tanto radioso da indurre a crogiolarsi. Ma il Real Madrid demolisce la nostalgia. La ripudia, “Who needs Ronaldo”. E rimescola le carte in totale naturalezza. Basti pensare al più fresco ritratto di famiglia, che in questi giorni spopola sui social: Carlo Ancelotti like boss, occhialata e sigaro in bocca, un po’ Churchill e un po’ De Niro; dietro di lui David Alaba, già decano al suo primo anno, e il trio brasiliano Vinicius-Militao-Rodrygo, micidiali nuovi che avanzano fra le Merengues. Manca solo Eduardo Camavinga, per completare il passaggio generazionale. E l’ennesima impresa: il Real ha centrato la sua diciassettesima finale di Champions League – record assoluto, +6 su Milan e Bayern – trasformando il prevedibile in empatia per l’outsider.

  

Perché liquidare Psg, Chelsea e Manchester City in serie è da noiosa schiacciasassi. Farlo in rimonta tre volte su tre è da epica sportiva, pane per la retorica del “quelli non muoiono mai” – e in effetti no, non lo fanno. A partire da Karim Benzema, a gonfie vele verso il Pallone d’Oro. Dietro al francese in missione ce n’è un altro, 15 anni più giovane, che è il vero interruttore di ogni remuntada al Bernabeu. Contro il Psg, ottavi: Real sotto 0-1, Camavinga entra al 57’, tripletta del numero nove. Contro il Chelsea, quarti: Real sotto 0-2, dentro Camavinga al 73’, gol di Rodrygo e Benzema. Contro il City: Real sotto 0-1, al 75’ tocca a Camavinga, gol di Rodrygo (2) e Benzema. Con il centrocampista classe 2002 determinante a propiziare la prima e la terza rete, mentre gli inglesi già si vedevano in finale. Il tutto è avvenuto senza i veterani Kroos, Modric e Casemiro, richiamati in panchina eppure consiglieri scelti di Ancelotti – parola del tedesco – per definire le mosse dei supplementari. E il Real di domani.

   

Già in tempi non sospetti l’allenatore si diceva “colpito dalla personalità di Camavinga”. Prelevato in estate dal Rennes per circa 31 milioni di euro, quasi in silenzio, mentre le sirene del calciomercato moderno sballavano per i valzer di Messi, Lukaku o Graelish. La chiave è proprio questa: il Real continua a sborsare – non sempre poco, Militao, Mendy, Vinicius Jr. e Rodrygo insieme sono costati quasi 200 milioni – ma lo fa benissimo. Lascia andare i suoi mostri sacri – pure Ramos, che vuoto sta lasciando? – e sa ringiovanirsi: al 105’ del ritorno contro Guardiola, l’età media dei Blancos in campo era di 25,5 anni. Mentre le altre corazzate stentano, il Bayern degli eterni Muller e Lewandowski. Si godono un ciclo d’oro dopo tempi bui, il Liverpool. Oppure sbandano, tutte le altre: il Barcellona in crisi identitaria, Citizens e Paris che un’identità di caratura mondiale non l’hanno mai avuta. Né sanno come comprarla. L’accozzaglia di campioni arrabattata quest’anno sotto la Tour Eiffel magari funziona alla playstation, ma il calcio continua a essere un’altra cosa. E sempre la stessa: il Real Madrid a contendersi l’Europa. La prossima allo Stade de France, davanti allo sceicco Al-Khelaifi. Spendi spandi effendi, canterebbe Rino Gaetano.

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