Foto EPA/Juanjo Martin via Ansa 

La grande chimera Isco

Andrea Romano

Doveva essere l'erede di Iniesta. Non è andata così, nonostante il talento. L'utopia fallita del centrocampista del Real Madrid finito nel dimenticatoio a nemmeno 30 anni 

Niente riesce a generare più nostalgia di un’utopia fallita. E la chiave è tutta nel processo di allontanamento. Il sogno che si era fatto realtà torna a essere illusione. I contorni diventano sbiaditi, i pochi momenti luminosi vengono dilatati, quello che poteva essere inizia a sovrapporsi a ciò che davvero è stato. La grande chimera del calcio spagnolo dell’ultimo decennio ha un numero 22 appicciacato sulla schiena. E siede in panchina. Così spesso che in molti hanno iniziato a domandarsi se non si sia trattato soltanto di un’allucinazione collettiva. Fra poco Isco compirà 30 anni. E da tre è stato inghiottito in un abisso. Senza averne ancora visto il fondo.

Quella che sembrava una certezza è diventata una promessa tradita, una fantasticheria rimasta fascinazione astratta. Da un pezzo per lui non ci sono più copertine. Soltanto trafiletti. E spesso per motivi residuali, che poco hanno a che fare con il campo. L’ultima citazione se l’è meritata poco tempo fa. Nella partita contro il Granada Ancelotti lo aveva mandato a scaldare insieme a Camavinga e Jovic. Solo che quando gli altri due erano entrati, lo spagnolo aveva deciso di fermarsi. Lui era pronto, continuare a trotterellare non aveva più molto senso. Così si era seduto in panchina. Una scelta unilaterale che non era passata inosservata. E mentre i giornalisti iniziavano a scrivere, Ancelotti lo aveva mandato subito in campo. Per evitare guai più grandi. Per evitargli l’ennesima crocifissione. Il problema è quello che è venuto subito dopo. Quella che poteva essere una bomba è esplosa con il boato di una miccetta. "Isco è arrabbiato con me perché non gioca, ma non mi ha mai mancato di rispetto. Gli voglio bene", ha detto Ancelotti. Sono bastate due frasi per chiudere la polemica. Anche perché come può diventare un caso uno che non gioca praticamente mai?

 

Le statistiche di Isco in questa stagione sono disarmanti. Zero presenze in Champions League. Sette in campionato. Per un totale di 177’. Di fatto è la sesta scelta per il centrocampo. L’ultima partita con la maglia della Nazionale risale al giugno del 2019. Poi più niente. L’andaluso guadagna sei milioni di euro a stagione. Il suo contratto scade a giugno. E non verrà rinnovato. Così dovrà cercarsi un posto altrove. Un club con un blasone minore. Con uno stipendio minore. È la logica conseguenza di un processo di autocombustione che sembra inarrestabile.

Con Isco la Spagna si era illusa di poter eternare un’idea di calcio, di poter andare addirittura oltre Iniesta. D’altra parte le aderenze fra i due sembravano spianare ogni dubbio. L’andaluso era la cosa più vicina in natura all’uomo di Fuentealbilla. E non solo per il suo talento nel nascondere il pallone fra le tibie arcuate. In una delle sue prime conferenze stampa Isco aveva detto di ispirarsi a Iniesta. Una banalità che gli si era tatua addosso. Fino a renderlo il nuovo qualcun altro. Il romanzo di formazione dell’andaluso è stato scritto per strada. Calcio che va oltre il calcio, che forma regole proprie, spesso irrazionali. La calle affila la sua tecnica, stabilizza il suo equilibrio, velocizza il suo ritmo. Isco si trasforma in uno sciamano della croqueta. Destro, sinistro. Con la palla scompare e poi riappare. Eludendo ogni intervento degli avversari. Quella che era la specialità di Don Andres diventa quasi subito la sua specialità.

Il suo talento appare sovradimensionato per il Malaga. Anche per quello che si stava gonfiando grazie ai petrodollari degli Al Thani. Nell’estate del 2013 è pronto al grande salto. La sua nuova destinazione sembra inevitabile. E invece Isco sorprende tutti. "Il Barcellona mi ha cercato, ma non l’ho mai ascoltato", dirà qualche anno dopo. Lui vuole vestire solo una maglia. Ed è quella del Real. La sua dichiarazione di indipendenza viene pronunciata il 24 ottobre del 2014. L’infortunio di Bale gli consegna il primo Clásico da titolare. La sua storia personale cambia al minuto 61, quando decide di combattere su un pallone impossibile. E manda in cortocircuito proprio Iniesta. Isco fa partire l’azione del 3-1 finale per le meringhe. È lì che il mondo capisce che quel ragazzo è qualcosa di più di un semplice epigono di uno dei centrocampisti più forti del mondo. Anche Iniesta riconosce il suo talento. "Isco es un jugador fantástico, de un talento brutal", dice. E ha ragione. Perché l’andaluso è un giocatore che contiene mille antitesi: è etereo e brutale insieme, sa ricamare e spaccare, servire e segnare. La sua cinetica è soffice, la sua estetica appagante. Ma Isco è anche un ossimoro con le scarpette bullonate. Conquista i tifosi, genera diffidenza gli allenatori. "Ancelotti ha confessato che non sapeva come inserirlo nello schema; Benítez non lo amava particolarmente e Del Bosque non lo ha portato all'Europeo in Francia - scrive El Pais - Zidane lo mise in 'quarantena' per una stagione, tanto che nel 2016 il calciatore confessò a Marca: 'Non sono stupido, se non sono titolare con Ancelotti, Benítez e Zidane è colpa mia'.

 

Il 2018 è l’anno dell’ostensione del suo talento. Zidane lo trasforma in un titolare inamovibile. Ad aprile, contro la Juventus, Isco fa segnare il 100 per cento di passaggi riusciti. Il tuttocampista va oltre la logica, sembra elevare a sistema uno spirito circense. Lopetegui lo trasforma nel fulcro della Spagna. Il suo calcio diventa abbacinante con la doppietta contro l’Italia di Ventura. Ancora non sa che sta per avvitarsi su se stesso. Ai Mondiali russi è il titolare designato. Lui in campo, Iniesta in panchina. È il passaggio di consegne perfetto. Solo che Lopetegui diventa un Re Mida al contrario. Tutto quello che tocca si inaridisce. In Russia viene annunciato il suo imminente addio alla Spagna. Diventerà il nuovo tecnico del Real. È un oltraggio alla Federazione. Il cittì viene esonerato prima dell’esordio Mondiale. La squadra va a Hierro. Ed è un disastro. Così come il Real di Lopetegui. Isco è il titolare di una squadra che non gira. Così diventa capro espiatorio. L’arrivo di Solari è una sentenza di condanna. Il nuovo allenatore gli rimprovera scarso impegno e condizione fisica precaria. È l’anticamera del purgatorio. La sua utopia finisce lì. La sua dimensione non è più il futuro ma la nostalgia. Perché a 26 anni Isco ha smesso di rincorrere un pallone e ha iniziato a rincorrere se stesso.

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