foto LaPresse

facce dispari

Vincenzo Maenza, il vecchio lottatore che non amò la paura

Francesco Palmieri

Il lottatore di lotta greco-romana ha partecipato a quattro Olimpiadi, la prima a 17 anni, vincendo in tre di queste due ori e un argento. A luglio scorso è stato inserito dal Coni sulla Walk of Fame dello sport italiano

“Uno dei prodigi del combattimento è questo: cambia l’avversario e devi cambiare anche tu, diventare un altro, essere chi non saresti”, scrive Antonio Franchini nel racconto ‘Il vecchio lottatore’. Per un quarto di secolo Vincenzo Maenza detto Pollicino sperimentò con successo questi cambiamenti senza fine, sicché il soprannome ispirato alle sue dimensioni fisiche riacquisì matrice fiabesca, perché è fiaba partecipare a quattro Olimpiadi, la prima a 17 anni, vincendo in tre di queste due ori e un argento. Convocato alla quinta come portabandiera dell’Italia, Pollicino la mancò per un grave infortunio, l’unico della sua vita. Non fu contro un implacabile lottatore di greco-romana dell’Est che soffrì la rottura dei legamenti, ma in una partita di calcetto tipo scapoli-ammogliati (il conformismo della sorte non tollera la prevedibile incompatibilità tra un campo verde e la materassina).

Sessant’anni d’età fra qualche mese, Maenza è stato celebrato a luglio scorso dal Coni con una mattonella sulla Walk of Fame dello sport italiano, assai sobrio d’omaggi verso la sua specialità: solo un altro lottatore, l’irredentista triestino Giovanni Raicevich, ha ricevuto (ben postumo) medesimo riconoscimento. Lungimirante, sapendo che non percepirà pensione, Pollicino gestisce il suo Maenza Personal Training a Faenza, città natale dove un giorno di tanti anni fa un cliente di suo padre barbiere consigliò di iscrivere Vincenzo a un corso di greco-romana. Tanto per provare.

  

Perché il vecchio lottatore Maenza consiglierebbe a un ragazzo questo sport?

Perché è bello e completo se trasmesso da un insegnante preparato. Malgrado il silenzio di giornali e tv, il pubblico se ne sta rendendo conto e anche i medici sportivi, che ancora dieci anni fa l’avrebbero sconsigliato. La lotta ti forma, stavo per dire ti cura, non solo il corpo ma il carattere.

Come si consegue l’eccellenza?

Tre ingredienti: tecnica, intelligenza, preparazione fisica. Se ne manca uno non si può fare il salto di qualità. Purtroppo le attuali scelte federali penalizzano la lotta come altre discipline: cerchiamo atleti fuori, paghiamo e offriamo a un ragazzino la cittadinanza italiana. Per ottenere risultati immediati si penalizza la nostra materia prima. Ai miei tempi eravamo pochissimi a livello di squadra nazionale, neanche una decina, eppure dal gruppetto sortivano campioni olimpici.

Qual era la ricetta?

Ci confrontavamo otto mesi l’anno con gli atleti dei Paesi dell’Est e avevamo uno staff tecnico di prim’ordine. Il salto avvenne con l’arrivo dell’allenatore bulgaro Gyuro Gyurov, ma anche ct come Vittoriano Romanacci e Franco Scuderi furono fondamentali. Sa cosa mi disse un allenatore russo? ‘I fenomeni siete voi, perché da numeri minimi tirate fuori gli olimpionici, mentre per noi con 50 mila praticanti vincere è facile’. Però le cose sono troppo cambiate. In peggio.

Perché?

Vogliamo paragonare i ragazzi d’oggi alla mia generazione? Non solo nella lotta, ma negli sport maggiori sono sempre meno disposti ai sacrifici. Li vedo fatti con lo stampino: senza idee, senza passione, con lo smartphone fino al venerdì sera, quando decidono dove sbudellarsi o andare a bere. Chiedono di risparmiare 10 euro di palestra, ma portano sulla pelle tatuaggi per due o tremila euro. Trent’anni fa, se mettevi dieci ragazzi in fila ciascuno raccontava il suo progetto: un giorno farò questo, farò quello. Ora non sanno che dire. Spero di sbagliarmi, ma non so quale società stiamo mettendo su. Se dovessi procreare un figlio adesso ci penserei mille volte.

Colpa di chi?

I genitori stanno troppo poco con i figli, li lasciano ai nonni per non perdersi un aperitivo. Sono cresciuto in un’epoca e un quartiere dove tanti coetanei si drogavano, ma una cosa non la fai se non vuoi. Mi ha salvato lo sport, ma non solo. Dovevamo tirare fuori il carattere: i bulli per esempio. Se tornando a casa lamentavo di averle prese, i miei mi davano il resto. Se mi lagnavo di un professore m’arrivava uno scapaccione. Oggi un professore deve stare attento a ogni parola che dice perché rischia denunce.

Ha mai avuto paura sulla materassina?

Neanche alle finali olimpiche. Parlavo di tattica col ct e mezz’ora prima dell’incontro cominciavo il riscaldamento. Pensavo: vado e gioco tutte le carte serenamente. Mica sto andando in guerra. Al peggio perdo l’incontro. C’erano invece ragazzi emotivi, che quando sentivano chiamare il loro nome sbiancavano e rendevano male. Una volta il ct domandò se qualcuno voleva lo psicologo. Dissi no, il mio psicologo ero io.

Qual è stato il suo avversario peggiore?

Il peso. Per rientrare nella categoria dei 48 chili dovevo calare anche di 12. Ma facevano lo stesso molti lottatori. Chi calava meglio vinceva, con dieta giusta e allenamento giusto. Ora un’ultima domanda me la faccio io, visto che voi giornalisti non me la fate mai.

Prego.

Se non avesse messo su il suo centro sportivo, il pluricampione Maenza come camperebbe? Mi sono spaccato venticinque anni le ossa per il mondo ma senza contributi per la pensione. Mi faranno tutt’al più commendatore.

Di più su questi argomenti: