Louison Bobet durante gara dle trofeo Baracchi seguito da Jacques Anquetil (foto LaPresse)

C'era una volta il Trofeo Baracchi

 Alberto Facchinetti

Trent'anni fa l'ultima edizione della cronocoppie (che quell'anno però venne trasformata in una generica cronometro). Che spettacolo sarebbe vedere oggi Ganna e Affini sfidare in coppia il cronometro

A vincere l’ultima edizione di una corsa, conosciuta a livello mondiale per la particolarità di essere una cronometro a coppie, fu un singolo ciclista. L’atto finale del Trofeo Baracchi, associato per l’occasione alla crono individuale del Grand Prix des Nations, venne conquistato il 26 ottobre di trent’anni fa da Tony Rominger. Da allora il Trofeo, fondato da Mino Baracchi in memoria del padre appassionato di biciclette, non si è più disputato. Mino, che all’anagrafe faceva Giacomo, aveva giocato nelle giovanili nell’Atalanta e con la sua squadra del cuore, di cui poi per un breve periodo sarà il presidente, aveva esordito nel Torneo di Guerra. Quando nel 1941 scomparve il padre Angelo, decise di omaggiarlo con l’organizzazione di questa gara. Dal 1958 il Trofeo Baracchi diventò una cronometro a coppie, così come l’abbiamo conosciuta fino al 1990, infine l’anno seguente ci fu appunto la vittoria dello svizzero Tony Rominger.

Le edizioni a coppie sono quelle che più hanno affascinato gli appassionati e sono entrate nell’immaginario ciclistico non solo italiano. Era lo stesso Mino, vero deus ex machina della gara, a invitare direttamente i ciclisti, creando i duetti. L’albo d’oro è un album di fuoriclasse. Francesco Moser ne ha vinto cinque (per restare in famiglia anche Aldo è andato in doppietta), Ercole Baldini e Fausto Coppi quattro, Fiorenzo Magni, Eddy Merckx e Jacques Anquetil tre.

L’ultima vittoria italiana risale al 2 settembre 1987 (anche se storicamente si correva il 4 novembre). Bruno Leali e Massimo Ghirotto, amici e compagni alla Carrera vincono davanti ai favoriti Saronni e Piasecki. “Per il prestigio ma anche per la tipologia della gara – racconta Massimo Ghirotto al Foglio Sportivo – il Baracchi è uno dei ricordi più belli della mia carriera. In casa ho appesa a una parete la foto in cui io e Leali, che allora era anche campione italiano su strada, festeggiamo la vittoria. Mi emoziono ancora quando mi fermo a fissarla. L’altro ieri mi sono sentito proprio con Paia, alto e magro come un filo di paglia, e abbiamo citato quella giornata”.

Massimo Ghirotto, oggi sessantenne, ha vinto in carriera tappe al Giro d’Italia, al Tour de France  e alla Vuelta di Spagna ed è stato molte volte tra gli anni Ottanta e Novanta azzurro ai Mondiali. Fu un ottimo corridore. “Io e Leali con i nostri nomi abbiamo rovinato l’albo d’oro del Baracchi – sorride Ghirotto – da ragazzo lo seguivo in tv, perché era una corsa strana. Da tifoso di Moser, ricordo la volta in cui vinse in coppia con il rivale Saronni e poi quando trionfò con Hinault. Gimondi, che è stato per tanto tempo il presidente della squadra di mountain bike in cui facevo il direttore sportivo, mi raccontava le sue due vittorie al Baracchi, specialmente quella con Anquetil”.
Ma come andò quel giorno del 1987 sulle strade bergamasche? “Entrambi sapevamo che avremmo potuto fare bene, ma il risultato finale è stato assolutamente una sorpresa. A circa due terzi del percorso, uno del nostro team ci informò che eravamo a pochi secondi da Saronni e Piasecki. Fino a quel momento non eravamo andati a tutta perché temevamo molto la lunghezza della gara, allora ci siamo guardati un attimo, siamo andati alla morte e vincemmo”.

Ghirotto non era uno specialista puro. “Anche se ero grande e grosso, non sono mai stato un cronoman perché mi mancava la capacità di stare ad alta velocità per molto tempo. Ma andavo molto forte nelle cronosquadre, mi bastava recuperare un momento, mettermi a ruota del compagno per smaltire l’acido lattico. Prima di allora in coppia non avevo mai gareggiato. Io e Leali ci conoscevamo molto bene, l’intesa in quel caso è venuta in soccorso. È logico che tra Moser e Hinault invece non servisse una grande amicizia, i campioni sanno come si corre e come si distribuisce lo sforzo”.

Sono passati trent’anni senza un Trofeo Baracchi, ogni tanto qualche organizzatore pensa di farlo tornare in vita, ma a oggi ancora non si è concretizzato nulla. “Mi piacerebbe molto che si potesse rifare – conclude l’ex ciclista – sarebbe uno spettacolo vedere per esempio la coppia tutta italiana Ganna-Affini o quella slovena Pogacar-Roglic. Credo che vinceremmo noi perché la cronometro secca non è una specialità di Pogacar, lui va fortissimo rispetto agli altri quando ha dieci tappe sulle gambe. Una coppia eccezionale, superiore anche a quella italiana sarebbe invece Roglic-Van Aert, atleti resistenti e perfetti per un Baracchi di 100 chilometri”.

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