Vincenzo Montella e Michel Salgado, in campo all'Olimpico la sera dell'11 settembre 2001 (RENATO FRANCESCHIN / LAPRESS)

Il ricordo dello sport

11 settembre 2001, quando si fermò il tempo ma non il calcio

Federico Giustini

Il martedì di Champions a poche ore dall'attentato: Roma e Lazio scesero in campo in condizioni surreali. "Non si doveva giocare", disse Sensi. "Quelle immagini non ci fecero capire più niente", ricorda Zoff vent'anni dopo

Harry Van Raaij, all’epoca presidente del PSV Eindhoven, presentò ricorso all’Uefa dopo la sconfitta per 4-1 contro il Nantes alla prima giornata dei gruppi di Champions. Il motivo? “Nessuno poteva aspettarsi che si giocasse a calcio quella sera”. Van Raaij chiese la ripetizione della partita a causa delle condizioni ambientali in cui si era svolta. L’Uefa respinse, definendo “impudente” la richiesta e specificando che sì, si era giocato a calcio a poche ore dall’attacco terroristico alle Torri Gemelle, ma la gara si era disputata a parità di condizioni per entrambe le squadre. Il disaccordo del club olandese non si esaurì troppo facilmente: “Dipende dall’approccio di ognuno di noi, gli olandesi si sentono connessi al mondo, i francesi sono sciovinisti”. Un’iniziativa surreale, tanto quanto quel martedì di Champions League che andò in scena.

 

Lazio e Roma scesero in campo la sera dell’undici settembre 2001, rispettivamente contro Galatasaray e Real Madrid. I biancocelesti avevano aggiunto a una rosa già forte il miglior centrocampista delle ultime due edizioni del torneo, quel Gaizka Mendieta costato 89 miliardi di lire, mentre i cugini ritrovavano la competizione regina del calcio europeo diciassette anni dopo la finale persa con il Liverpool all’Olimpico. Nonostante l’orientamento generale dei club e delle istituzioni calcistiche italiane fosse emerso con chiarezza sin da subito nel pomeriggio (“Non si deve scendere in campo”, dissero Franco Carraro, presidente di Lega, e Gianni Petrucci, commissario Figc), per l’Uefa fu necessario salvaguardare l’ordine pubblico e, per farlo, oppose un argomento inoppugnabile, il 3-0 a tavolino in caso di rifiuto: “A Mosca si giocava di pomeriggio, gli altri stadi si stavano già riempiendo, temevamo reazioni da parte dei tifosi: la macchina organizzativa ormai era partita” spiegò poi il segretario generale Gerard Aigner. Salvo poi fare marcia indietro e rimandare gli incontri del giorno dopo e quelli di Coppa Uefa del giovedì.

A distanza di vent’anni Dino Zoff, all’epoca sulla panchina della Lazio, ricorda la sensazione di stordimento quando la notizia dell’attentato raggiunse la sua squadra a Istanbul: “Ci trovavamo in albergo, accadde qualcosa che non sembrava vero, qualcosa di fuori dal mondo. Eravamo già scossi da quanto avvenuto il giorno prima lì a Istanbul, un attacco suicida in pieno centro. Quelle immagini ci misero nelle condizioni di non capire niente. Alla fine riuscimmo a concentrarci e a giocare la partita, cos’altro dovevamo fare”. All’Ali Sami Yen, dove dagli spalti giunsero fischi durante il minuto di raccoglimento, i turchi la spuntarono con un gol di Umit Karan a una decina di minuti dalla fine. Il direttore generale biancoceleste Massimo Cragnotti non volle però accodarsi all’iniziativa del PSV: “Non cerchiamo alibi. Le partite andavano sospese, ma una volta giocato è giusto accettare il risultato del campo”.

A Roma una serata tanto attesa venne vissuta con scarso entusiasmo e a testimoniarlo fu la lettura, più asciutta e meno enfatica del solito, delle formazioni da parte dello speaker Carlo Zampa. Sia il presidente Franco Sensi che Fabio Capello espressero tutta la loro contrarietà alla decisione dell'Uefa al termine della gara con il Real Madrid (vinta 2-1 dagli spagnoli: a segno Figo, Guti e Totti su rigore): “La partita non si doveva giocare, dalla fine della guerra non ricordo niente di più tragico” disse l’allora numero uno del club giallorosso; per Capello “sarebbe stato più giusto dare un segnale al mondo intero: dovevamo fermarci a riflettere su quanto accaduto. Ci siamo portati dietro in campo un peso grosso come un macigno”.

Più turbolento fu il pomeriggio della Juventus, costretta a evacuare l’albergo Palacio di Oporto due ore dopo i fatti tragici di New York, per un allarme bomba nell’adiacente centro commerciale sinistramente chiamato World Trade Center. Solo il giorno dopo la squadra ricevette la notizia dell’atteso rinvio della partita contro il Porto. “Forse bastava spostare a mercoledì le otto gare di martedì, e poi lo dicono tutti che la vita deve continuare ed è anche giusto. Purché non si dimentichi, mai, che non c'è solo una sillaba tra civiltà e viltà” fu la sintesi di Gianni Mura.

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