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Un secolo di Italia-Spagna

Gino Cervi

Tra gli Azzurri e le Furie rosse tutto è cominciato il 2 settembre 1920, semifinale di un cervellotico torneo “di consolazione” delle Olimpiadi di Anversa e vittoria spagnola per 2-0. Il bilancio è in perfetta parità: 11 vittorie per parte e 15 pareggi

Italia-Spagna è un classico della storia del calcio. Martedì sera si incontreranno per la 38a volta. Il bilancio è in perfetta parità: 11 vittorie per parte e 15 pareggi. In leggero vantaggio gli azzurri nei gol: 42 contro 40. È la settima volta che s’incontrano in una fase finale dei Campionati Europei: due i successi italiani, tre pareggi e una sola la vittoria spagnola, però pesantissima: il 4-0 nella finale di Kiev del 2012. Anche l’ultimo match disputato, nelle qualificazioni mondiali del settembre 2017, a Bernabeu non è un bel ricordo: 3-0 per le Furie rosse e gli azzurri di Ventura costretti allo sventurato spareggio con la Svezia.

Tra Italia e Spagna tutto è cominciato il 2 settembre 1920, semifinale di un cervellotico torneo “di consolazione” delle Olimpiadi di Anversa e vittoria spagnola per 2-0. Protagonista di quel primo incontro, e di gran parte delle sfide italo-iberiche degli anni Venti e Trenta fu il portiere Ricardo Zamora, che si diceva incantasse gli attaccanti come fossero serpenti. Non a caso le due più significative vittorie azzurre di quegli anni furono ottenute quando non c’era lui a difendere la porta degli spagnoli: il clamoroso 7-1 inflitto ai quarti di finale del torneo olimpico di Amsterdam – la vittoria di più larga misura nella storia tra Italia e Spagna – e l’1-0 della ripetizione del quarto di finale ai Mondiali del 1934, a Firenze, che spianò la strada alle semifinali e quindi alla vittoria degli azzurri di Pozzo (e di Mussolini). Il primo match si era concluso in parità, 1-1 (a Regueiro aveva risposto Giovanni Ferrari) dopo i supplementari. Più che una partita fu una caccia all’uomo. L’arbitro, il belga Baert, annullò alla Spagna un gol sembrato ai più regolare; sul campo, non si contarono gli azzoppati. E tra questi ci fu Zamora, costretto, insieme ad altri sei compagni, a rinunciare alla ripetizione. Mutò il direttore di gara, lo svizzero Mercet, ma non l’accondiscendenza verso gli azzurri a cui bastò un contestatissimo gol di Meazza su calcio d’angolo. Quindici anni dopo, il 27 marzo 1949, al Chamartin di Madrid, l’Italia vinse un’amichevole per 3-1: fu l’ultima partita in maglia azzurra di Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Castigliano, Menti e Valentino Mazzola, che dopo trentotto giorni dopo sarebbero morti, insieme ad altri compagni del Grande Torino nell’incidente aereo di Superga.

Dopo una lunga serie di amichevoli, Italia e Spagna si fronteggiarono di nuovo agli Europei: dapprima nell’80, quando finì a Milano finì a reti inviolate, e quindi nel 1988, a Francoforte, quando la giovane Italia di Vicini vinse di misura – gol di Vialli – sulla più quotata Spagna di Zubizarreta e Baquero, di Sanchis e Gordillo, Butragueño e Michel, quest’ultimo annichilito sulla fascia da un prorompente ventenne: Paolo Maldini. Per 69’ in quella partita giocò anche Roberto Mancini, che nel precedente incontro contro la Germania Ovest aveva messo a segno il gol dell’1-0, poi pareggiato dai tedeschi.

Non c’era più Mancini – che aveva giocato l’ultima delle sue 34 partite in azzurro nell’aprile di quello stesso anno – ai Mondiali del 1994, quando l'Italia di Sacchi e la Spagna di Clemente s’incontrarono ai quarti di finale: a due minuti dalla fine la decise Roberto Baggio, dopo il gol dell’omonimo Dino e il pareggio su autorete di Benarrivo.

 

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Non c’era Mancini ma c’era Luis Enrique. Indimenticabile quella partita per il suo naso che, nel bel mezzo dell’area di rigore, e nei concitati minuti di recupero della partita, ebbe la cruda disavventura di imbattersi nel gomito di Mauro Tassotti, perdonato dal distratto arbitro Puhl, ma non dalla prova TV che mise fine al torneo mondiale del milanista, e di fatto, con otto giornate di squalifica, anche alla sua fugace carriera in azzurro. Luis Enrique ha da tempo perdonato il Tasso, ma se fosse in cerca di solidarietà e comprensione stasera potrebbe trovarla sulla panchina italiana in Lele Oriali, che conobbe la mite cordialità del terzino rossonero ben prima di lui, in un derby del 1981 in cui segnò il punto della vittoria, ma fu segnato da molti più punti-ricordo sullo zigomo destro.

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