Pogacar e anarchia. L'instaurazione di un nuovo potere al Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Dylan Teuns ha vinto l'ottava tappa della Grande Boucle, la prima alpina. Una frazione bagnata, caotica e bellissima. Lo sloveno ha vestito la maglia gialla non molto lontano dal luogo nel quale Bakunin iniziò a pensare a "Stato e anarchia", quella messa sull'asfalto da molti, Pogacar compreso

A una trentina di chilometri dal traguardo di Le Grand-Bornand, Kenny Elissonde ha capito che qualcosa stava succedendo alle sue spalle. Questione di rumori, di vociare del pubblico. Era stato staccato dalla metà dei corridori che si erano avventurati con lui sulle strade dell’ottava tappa del Tour de France, la possibilità di vincere era già evaporata, l’unico obbiettivo che aveva era quello di arrivare senza troppo faticare all’arrivo. Tanto valeva girarsi, osservare cosa stava accadendo.

I suoi occhi incrociarono una figura leggera che, sotto una pioggia che non accennava a dar tregua, levitava sulla bicicletta verso la cima del Col de Romme, mentre alle sue spalle lievitava un vuoto di speranze scadute, andate a male in un tempo troppo piccolo. Lo ha osservato passare, con un’espressione di compiaciuto stupore. La bellezza, a volte, appare quando meno la si aspetta, sa sbalordire se si ha in cuore la capacità di non ignorarla.

Richard Carapaz tutto questo invece ha voluto non vederlo. Aveva provato a rimanere il più vicino possibile alla ruota di Tadej Pogačar. Ce l’ha fatta, a suo modo. Il problema era che il più vicino possibile era comunque troppo distante da quello che aveva in mente. In poche centinaia di metri l’ecuadoriano ha perso la scia dello sloveno, ha smesso anche di vederne pure le spalle, nei suoi occhi il bianco della maglia di Pogačar si è stinto a tal punto da non restare che abbandono. Lo spazio si è dilatato, i secondi sono diventati minuti: 3’20” al traguardo.

Foto Ansa

Tadej Pogačar sul Col de Romme ha iniziato una rincorsa pantagruelica alla testa della corsa. Sul Col de la Colombière ha fagocitato a uno a uno gli avanguardisti. Il banchetto completo non è riuscito soltanto per una decina di secondi, quelli che ha mantenuto in cima al passo Dylan Teuns.

Abbastanza per conquistare il Gran premio della montagna, soprattutto per assicurarsi il margine sufficiente per stare alla larga dai patemi di una possibile vittoria mancata. Questione di valutazione del rischio: Teuns aveva in mente la vittoria di tappa, l’aspirazione di giornata, Pogačar la maglia gialla, contesto trisettimanale, la discesa bagnata ha imposto i freni più al secondo che al primo. Anche perché quello che doveva essere fatto, l’aveva realizzato ascendendo le montagne. È andata bene a tutti e due. Dylan Teuns ha vinto la tappa, lo sloveno ha ottenuto quello che voleva.

Foto LaPresse

Tadej Pogačar la maglia gialla la vestirà domani in corsa, sfoggiandola per la prima volta pedalando sotto il cielo montano. L’anno scorso l’aveva vestita soltanto sotto quello parigino, dopo averla conquistata all’ultimo giorno utile, quello della cronoscalata alla Planche des Belles Filles.

L’ha indossata per qualche istante oggi sul palco di Le Grand-Bornand, non tanto distante dal luogo dove Michail Bakunin nel 1871, in fuga dopo il fallimento della sommossa popolare di Lione, iniziò a sgrezzare le basi del suo “Stato e anarchia”, ospite di alcuni seguaci di Pierre-Joseph Proudhon.

Le tesi di Bakunin il gruppo le ha provate a metterle in pratica nei primi settanta chilometri di corsa. Una ricerca della fuga continua e a tratti disperata, che ha frantumato il gruppo, sgretolato le ambizioni di resistenza di Geraint Thomas e Primoz Roglic, finiti a oltre mezz’ora, un paio di minuti prima dello scoccare del tempo massimo. Un procedere terremotante che ha visto affacciarsi in testa alla corsa decine e decine di uomini pronti con le loro pedalate a mettere in crisi il potere prestabilito. Quello tremolante per forza di montagne di Mathieu van der Poel, quello che per forza di pedalate si sarebbe imposto di Tadej Pogačar.

Pure Wout van Aert ha riprovato la sorpresa, si è lanciato ancora nel tentativo di arrembaggio che ieri aveva funzionato. “Non tutti i giorni sono pari”, diceva l’Avucatt Eberaldo Pavesi, l’importante “è non perdere la rotta in quelli dispari”. Il giorno dispari del belga si è presentata, l’ha saputa gestire con buona intelligenza. Poco più di cinque minuti che lo mantengono però ancora al secondo posto della generale.

A Le Grand-Bornand i sogni di rivoluzione si sono sciolti, l’anarchismo sui pedali in un modo o nell’altro ha vinto con Teuns, anche se, almeno per quanto riguarda la maglia gialla, ha favorito l’instaurarsi di un nuovo potere. O forse no. Anarchico è stato anche Tadej Pogačar che se ne è fregato della distanza del traguardo, dei conti col bilancino, dei calcoli su quando è meglio prendere la maglia gialla. Prima ha pensato: tiratemi pure in mezzo, scattate, fate casino, provateci; fate bene, benissimo, tanto poi vi stacco. Poi ha agito e alla prima occasione utile è scattato. E poco importava che il contachilometri segnasse più di trenta chilometri all’arrivo. L’anarchia ha vinto comunque.