Perché gli Europei sono una finestra sulle opportunità post pandemiche

In attesa del miracolo di Draghi: la finale degli europei a Roma

Claudio Cerasa

Il grande business dell'efficienza (e della protezione). Due passi all’Olimpico tra sponsor, monopattini e alternative alla frittata di cipolle

Raccontare il calcio con la chiave “metafora della vita” è una di quelle operazioni retoriche dalle quali è saggio tenersi distanti. Ma provare a raccontare una partita di calcio come se questa fosse una finestra sulla nostra nuova vita può essere invece un’operazione interessante. E chiunque abbia avuto la fortuna di assistere a una delle partite giocate dall’Italia allo Stadio Olimpico di Roma non può essere rimasto impassibile di fronte ad alcuni fotogrammi del nostro futuro. Il futuro, in questo caso, non riguarda il destino della Nazionale ma riguarda piuttosto una serie di dettagli registrati prima, durante e dopo le partite dell’Italia che ci permettono di fare qualche riflessione su come si va riorganizzando il mondo nel post pandemia. Il primo dettaglio importante riguarda il business dell’organizzazione dei grandi eventi (oltre che dei tamponi: Dio benedica le farmacie aperte di domenica) ed è evidente che l’incredibile domanda di sicurezza che accompagna un appuntamento con molti spettatori è destinata a rendere non provvisorie ma permanenti una serie di professionalità, dalla diffusione capillare, simili a quelle incontrate all’Olimpico di Roma (hostess, steward, assistenti, addetti al guardaroba, addetti ai controlli, addetti al monitoraggio delle mascherine, addetti al controllo delle file, addetti all’assistenza dei minori).

 

La pandemia ha distrutto alcuni lavori ma ne ha creati degli altri (intrattenere il pubblico costretto ad arrivare allo stadio prima dell’inizio della partita con la musica dei dj o le coreografie rientra all’interno di una ridefinizione più grande che riguarda la capacità degli stadi di offrire esperienze alternative alla comodità della frittatona con cipolla in mutande di fronte alla tv) ed è sufficiente fare due passi all’interno dello stadio per capire quali saranno i settori che più degli altri cercheranno di trasformare la crisi pandemica in un’opportunità di crescita. E così se ci si guarda attorno si noterà che agli Europei, prima grande vetrina del post pandemia, investono, oltre a colossi tradizionali come l’americana Coca-Cola, l’olandese Heineken, la tedesca Volkswagen, piattaforme di pagamento online come Alipay (cinese), società di produzione di apparecchiature elettriche come Hisense (cinese), società di trasporto come Fedex (americana), società di intrattenimento via social come TikTok (cinese), società di telefonia come Vivo (cinese), società di consegna a casa del cibo come Just Eat (inglese), società di organizzazione viaggi come Booking (americana), compagnie aree come la Qatar Airways (in Qatar si terranno i prossimi Mondiali). I giganti privati non europei (ah, c’è anche Gazprom: Russia) che scommettono sul mercato europeo sono più dei giganti privati europei, anche perché i giganti privati europei si contano sulle dita di una mano.

 

Ma la finestra sul mondo aperta dagli sponsor degli Europei diventa ancora più interessante una volta messi i piedi fuori dallo stadio. Dove, grazie ad altri privati, i tifosi di calcio per la prima volta non hanno avuto problemi, a Roma, a tornare nelle loro case dopo la partita e a non ritrovarsi intrappolati in un tradizionale bus flambé. Lo hanno potuto fare non grazie ad alcuni servizi  messi a disposizione dal trasporto pubblico ma grazie a tre aziende americane (Bird, Link, Lime) e una olandese (Dott) che hanno utilizzato i mesi della pandemia per inondare di monopattini le principali città italiane. Non sarà certo la metafora della vita ma il calcio della nuova stagione (nell’attesa che Draghi faccia il miracolo di portare la finale a Roma) è una finestra utile per comprendere perché nel mondo che verrà i lavori che avranno futuro saranno quelli capaci di attivare un meccanismo simile a quello osservato da chi è andato  allo stadio domenica: trasformare l’efficienza nel business del nostro nuovo presente. Non sarà facile, ma il futuro, se volete, passa anche da qui. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.