Roberto Mancini e l'estetica del colpo di tacco

Giovanni Battistuzzi

Chi lo utilizzò per primo è impossibile saperlo. A istituzionalizzarlo fu però un inglese: Steve Bloome. Lo scrittore G.H. Wells lo chiamò "colpo del gambero", in Russia si chiama lo "Streltsov". L'allenatore dell'Italia l'ha proposto anche in versione "fuoricampo"

Quella del calcio è una storia ricorsiva. Almeno nell’estetica. Quella del gesto che colpisce, che vorrebbero vedere gli appassionati e che di conseguenza ricercano i calciatori. C’è stato un periodo nella storia del pallone nel quale il colpo di tacco era il massimo. Il limite estremo della bellezza. Anzi due momenti. Dell’ultimo Roberto Mancini fu un grande interprete. Una passione a cui non si sottrae nemmeno ora che siede in panchina della Nazionale italiana. Lo si è visto in Italia-Galles a Euro 2020 quando ha stoppato con quella parte del piede il pallone diretto alla panchina degli Azzurri. Uomo d’altri tempi. Non che il colpo di tacco sia scomparso dai campi di gioco, solo che adesso è altro che entusiasma di più: il dribbling matto, quello non comune, il gioco di gambe che fa impazzire il difensore.

Il primo momento d’oro del colpo di tacco risale alla metà degli anni Novanta dell’Ottocento ed è andato avanti per quasi quarant’anni. Erano anni pionieristici quelli e il colpo di tacco fu rivoluzione, un’avanguardia artistica. Chi sia stato il primo a servirsene probabilmente è impossibile saperlo, chi fu il primo a farlo diventare un tratto caratteristico del suo gioco è ben più semplice: Steve Bloomer. Bloomer era un attaccante veloce, potente e soprattutto perdente. Tra il 1892 e il 1914, tra Derby Country e Middlesbrough segnò quasi trecentocinquanta gol in partite ufficiali, vinse la classifica marcatori per cinque volte, ma non riuscì a sollevare mai un trofeo. Poco male, entrò nelle preferenze di G.H. Wells. Lo scrittore lo paragonò a un demiurgo capace di “rendere nobile anche la parte meno nobile del piede”. Nulla fu più come prima. Il tacco serviva a passare la palla, a superare gli avversari, con il paraguiano Arsenio Erico pure a segnare. Erano gli anni Trenta del Novecento e servì la sfacciataggine di un sudamericano per trasformare il “colpo del gambero”, come lo soprannominò Wells, in una modalità per segnare. In Russia invece il colpo di tacco è ancora un cognome: lo "Streltsov", in onore del maestro di quella specialità, Eduard Streltsov, il Pelé bianco che finì nei gulag.

Solo la rovesciata, che si dice fu inventata da Ramon Unzaga o da David Arellano, entrambi cileni, ma resa famosa dal brasiliano Leônidas, riuscì negli anni Trenta a superare nell’immaginario pallonaro il colpo di tacco. Con tanto di certificazione della Panini che rese iconica quella di Carlo Parola, non un attaccante, ma un difensore e quello fu gesto difensivo e non offensivo.

Il colpo di tacco tornò a essere amato e richiesto verso la metà degli anni Ottanta. Una scelta figlia dei tempi, “perché nulla nel calcio è più paninaro di questo gesto calcistico”, sottolineò Giorgio Bocca. Quelli di Roberto Mancini furono spettacolari. Quelli in campo che liberavano i compagni di squadra, quello in Parma-Lazio 1-3 del 17 gennaio 1999

 

Un gesto arrivato ormai quasi fuori tempo massimo, perché i tempi erano già cambiati, la suola stava soppiantando il tacco. Quella che usava Zinedine Zidane per controllare il pallone, quella che si stava sempre più imponendo come parte “raffinata” del piede, utile per azzardare dribbling sempre più complicati. Sono questi che i tifosi chiedono e guardano sui social, sono questi che ora appassionano calciatori e sostenitori. Quando qualcuno se ne inventa uno di nuovo o riporta in auge vecchie scoperte un po’ annacquate, il giubilo si accende. Anche se poi quando il tacco si riappropria del proscenio ecco che gli antichi battimani si fanno risentire. C’è sempre un filo sottile di nostalgia che avvolge il pallone, non si può far niente per sfuggire a questo.

Di più su questi argomenti: