Il Milan di Silvio Berlusconi conquista la Coppa dei Campioni nel 1990 (foto Ansa)

Da Viani a Rozzi, di Superlega si parlava già negli anni Sessanta

Giuseppe Pastore

Una competizione continentale che si affianchi ai campionati nazionali è un progetto di lunga data. Quelle parole rivelatrici di Berlusconi nel 1988 sull'imponderabile nelle coppe europee

L’idea, il sogno, l’incubo, la follia, la rivoluzione, il colpo di stato – chiamatelo come vi pare – parte da lontano. Affonda le radici in quel calcio remoto e oggi idealizzato, con i numeri dall’1 all’11 e i portieri coi maglioni di lana, passando con un colpo di spugna sulle partite truccate, le porcherie arbitrali mai smascherate per assenza di telecamere, i caffè corretti con doping artigianale. Oltre mezzo secolo fa, nel 1964, il direttore tecnico del Milan Gipo Viani dichiarava a Forza Milan, la storica fanzine rossonera, quanto segue: “Ci vuole un campionato europeo, il campionato del MEC. L’ideale del calcio del futuro è quello di poter fornire un super spettacolo. Ma non vi accorgete perché la gente diserta lo stadio? Date al pubblico un Real Madrid, un Benfica, un Dukla Praga, un Dundee e vedrete che gli stadi torneranno a riempirsi, anche senza i ribassi dei prezzi. Provate a formulare un campionato con la Honved, l’Everton, il Norrkoping, cioè con tutte le migliori squadre europee... Si potrebbe fare in modo di concatenare campionato italiano e campionato europeo, con l’intensificazione dell’attività calcistica delle squadre. Cosicché ogni società dovrebbe disporre di un numero congruo di giocatori, e ciò servirebbe a valorizzare molti giovani che oggi, purtroppo, non possono essere convenientemente lanciati e languiscono, anche per mesi, tra le riserve”.

In questi giorni sui social sta girando una profezia del presidente dell’Ascoli Costantino Rozzi, risalente al febbraio 1979 – anche se qui le fonti si confondono, qualcuno sostiene sia stata enunciata durante una puntata del “Processo del lunedì” che però è nato solo nel 1980, quindi non vorremmo che fosse come quella famosa frase di Sandro Pertini sul governo da cacciare con le pietre e i bastoni, che poi s’è scoperto essere una bufala. Comunque Rozzi avrebbe detto: “A lungo andare avremo un campionato europeo con le più grosse società di ciascun paese e, parallelamente, un altro campionato a carattere nazionale se non addirittura regionale con le altre. Juve, Inter, Milan, Torino finiranno inevitabilmente nell’élite e le altre migliori si misureranno in un diverso torneo. Certo all’inizio avremo un trauma non indifferente ma quando ci saremo abituati tutto sembrerà più normale”. Il riferimento al Torino forse spiegherebbe la stizza dei quotidiani italiani e spagnoli di proprietà di Urbano Cairo, che magari s’aspettava un colpo di telefono da Florentino.

 

Da un’intervista al Corriere della Sera rilasciata da Silvio Berlusconi il 17 maggio 1988, due giorni dopo aver vinto il suo primo scudetto a Como: “Dobbiamo trasformare le coppe europee in un campionato continentale, una formula che consentirebbe alle società certezze gestionali ed economiche. Pensate che con un paio di giocatori in più si potrebbe disputare un numero di partite doppio. Andremmo a giocare a Madrid, a Barcellona, a Lisbona, non in qualche sperduto paesino di provincia. Inutile fare demagogia: le formazioni di un certo livello, capaci di contare su un certo pubblico e su incassi conseguenti, devono avere il diritto a competere tra di loro. Poi eventualmente si può studiare una formula basata sui playoff”. Pochi giorni dopo, insieme al presidente del Real Madrid, Ramon Mendoza, incontrò a Parigi il presidente Uefa Jacques Georges, proponendogli una bozza di riforma della Coppa dei Campioni riportata con dovizia dai giornali: “Otto gironi da quattro squadre” – lo stesso formato che, dopo alcuni brevi step intermedi, fu introdotto nel 1999 ed è sopravvissuto fino ai giorni nostri. “Per quanto riguarda lo studio di un campionato continentale per club, i tempi sono ovviamente più lunghi”, ammise con rassegnazione il Cavaliere.

Anni Novanta. Il 20 luglio 1998 molti quotidiani scrivono del week-end londinese trascorso da 90 società europee grandi e medie per pianificare il progetto che dovrebbe sostituire la Champions League dal 2000-01: per l’Italia presenti Romy Gai (Juventus), Umberto Gandini (Milan) e Luigi Predeval (Inter). Un torneo a 32 club, sedici iscritti di diritto in quanto soci fondatori, altri sedici qualificati per meriti sportivi, con 16 partite assicurate da ottobre a marzo, più i playoff per chi supererà la prima fase. “I campionati nazionali continueranno a essere giocati nel fine settimana. L’Italia avrebbe tre posti assicurati e riservati a Juve, Milan e Inter. I club europei hanno già mobilitato avvocati di fama e hanno contattato l’Unione europea per evitare ritorsioni da parte dell’Uefa, che rischia di ritrovarsi spiazzata, come già in occasione della sentenza-Bosman” (Corriere della Sera, 20 luglio 1998). Ma chi finanzia questo progetto? Non ci credereste mai: l’immancabile JP Morgan, più diabolica della Spectre, pronta a garantire “un montepremi da favola”.

 

Assonanze, dettagli rivelatori, tic verbali. Torniamo al Berlusconi 1988, e alla frase con cui introdusse il suo discorso sulla non-ancora-Superlega: “Purtroppo nelle coppe europee prevale l’imponderabile”. Quel “purtroppo” contiene oggi tutta l’enormità del dibattito tra gli apocalittici e gli integrati, tra i puristi della tradizione e i modernisti entusiasti della Superlega, tra chi intende lo sport come fonte di emozionanti incertezze agonistiche e chi lo preferisce come strumento di rassicuranti certezze economiche.

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