Lo spettacolo dimezzato degli X Games

Si è conclusa la 25esima edizione del più grande spettacolo americano dedicato alla neve, i giochi dove si premiano le evoluzioni su sci, snowboard, motoslitte ecc. Ma è andata in scena a porte chiuse e senza quello che Hunter S. Thomson apprezzò di più

Giovanni Battistuzzi

L'idea di trasportare l'underground nei luoghi montani più esclusivi d'America avvenne in un giorno preciso dell'estate del 1996, dopo che questo aveva già conquistato la spiaggia della ricca borghesia dell'alta costa atlantica degli Stati Uniti. Perché non fare sulla neve quello che si faceva su ruote o rotelle? All'Espn (emittente televisiva americana che trasmette 24 ore su 24 programmi dedicati allo sport) questa domanda se la posero sul finire del 1995, sette mesi dopo avevano già elaborato e pianificato la risposta. Gli X Games si sarebbero svolti anche in edizione invernale: gli americani voglio spettacolo? e noi daremo loro lo spettacolo sportivo migliore di sempre, anche sulla neve.

 

Nel 1995, l’anno del primo X Games, lo skatebord aveva smesso già da parecchi anni di essere underground, nicchia e rivolta. Era diventato prima uno stile di vita, poi uno sport, infine uno spettacolo amato da centinaia di milioni di americani. Era già diventato cinematografia e skater come Tony Hawks, Chris Senn e Dave Mirra fatturavano già come buoni atleti delle tre leghe più importanti d’America: NFL (football americano), NHL (hockey) e NBA (basket). L’Espn diede loro il formato giusto per entrare nell’immaginario globale. Gli X Games non sono altro che questo: un contenitore del meglio dello sport spettacolo.

  

“X sta per extreme, ma a nessuno sembra interessare molto che non ci sia poi molto di estremo in tutto quello che c’è a Providence. Però su diverse cose hanno fatto centro quelli che hanno organizzato questi X Games. La birra è buona e fredda al punto giusto, le ragazze sono magnifiche e nel complesso lo spettacolo merita di essere visto, anche perché c’è modo di riposare le chiappe e c’è sempre un posto dove ci si può rifornire di birra”. Hunter S. Thompson, giornalista e scrittore americano (autore di “Paura e disgusto a Las Vegas”), ai primi X Games ci finì per lavoro, inviato al solito specialissimo per Playboy. Ai primi X Games invernali per curiosità, perché “dopo aver visto quel macello estivo, serviva capire se anche con le temperature sottozero tutti quegli ormoni avrebbero fatto muovere uomini e donne allo stesso modo”.

  

Non lo capì fino in fondo, quello che scoprì invece fu che la birra in montagna è buona uguale “soprattutto se alternata a una serie di distillati che mi hanno detto essere tradizione tra le montagne di San Bernardino”. Hunter S. Thomson rimase felicemente colpito dallo snowboard, si entusiasmò per i salti con gli sci e soprattutto per le evoluzioni con la motoslitta. Rimase soprattutto affascinato dalla “qualità e dalle feste disinibite che seguono le ‘gare’. I corpi di chi volteggia nell’aria non hanno la pesantezza dei campioni dello sport, le forme sono più dolci, hanno un’armonia di troppa salute certo, ma comunque un’armonia piacevole. E il freddo è fatto apposta per far scaldare questi corpi. La competizione è sicuramente interessante, ma ciò che gira attorno sa esserlo di più”.

  

Gli X Games invernali quest'anno hanno festeggiato la venticinquesima edizione. Hanno occupato le montagne di Aspen, concesso agli appassionati il solito spettacolo. Almeno televisivo. Perché dal vivo nessuno ha potuto vederlo. Porte chiuse, sportivi dentro la solita bolla anti-Covid per addetti ai lavori. Il contesto non c’era, le feste neppure, quello “scaldarsi di corpi armoniosi” ha lasciato il posto a montagne silenziose.

 

Gli X Games sono stati sempre uno spettacolo pensato per la televisione. Quest’anno sono riusciti a esserlo per davvero. 

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