Il Foglio sportivo

Tazio Nuvolari, il pilota che nacque due volte e che non è mai morto 

Marco Archetti

Un libro racconta l’eroe della Mille Miglia, nato e cresciuto insieme all’automobile e capace di imprese impossibili. Né scapestrato né folle, soltanto “un innocente” 

“Partivano di notte / arrivavano di sera / dopo mille chilometri di questa fantastica carrera / E nessuno poteva dire / se le macchine correvano / per ritornare o scomparire”.

 
Nel 1976 Lucio Dalla la cantava così, l’epopea delle Mille Miglia, e lo faceva in un disco intitolato “Automobili”, un disco lirico, metallico, majakovskiano nel martellio dei cilindri narrativi, futurista e retrospettivo, scattante e melodico, scritto col poeta Roberto Roversi. Un album dedicato allo sporco dei motori, al futuro e al passato, al sangue vivo della leggenda e a quelle corse memorabili, autentiche imprese omeriche tra massacro e celebrazione, esperimenti di morte e gran festa della vita. Un’opera musicale superba, dolcemente fracassona e violentemente intimista, che raccontava di cieli e gasometri, di biacca e frizioni, di cuori che amano e di scarichi calibrati, del grasso e dell’unto dei motori del 2000 e – appunto – delle indimenticabili Mille Miglia, la competizione a cui il nome di Tazio Nuvolari è indissolubilmente legato tanto da esserne, ormai, consustanziale.

   

Una gara che non era come le altre, perché non era semplicemente una gara bensì una parata dell’esultanza motoristica, un’acrobazia della follia che sfiorava la morte tra le faville di un nuovo titanismo. Erano la faccia sventata e felice di un’epoca bruciante e nuova, che abbandonava i cavalli e scopriva la geografia e i motori. Erano la nuova civiltà industriale.

   

Come racconta Pino Casamassima – autore di “Tazio Nuvolari, le vittorie, il coraggio, il dolore” (Baldini+Castoldi,  294 pagg., 19 euro) – la vita di Nuvolari è strettamente legata a questo passaggio epocale e al trionfo di quel motore a scoppio di cui, inevitabilmente, sarà profeta, vessillifero e simbolo. “La sua infanzia – scrive Casamassima – coincide con quella dell’automobile, nata praticamente insieme a lui”. E insieme a lui assurgerà a mitologia, perché quella gara, come nessun’altra, era romanzo e portento, prosa e poesia, e cuciva insieme le pezze di un’Italia ancora contadina che nemmeno si conosceva tutta, non parlava un’unica lingua e si assiepava a bordo strada così, stracciarola, naïf e assetata di un nuovo racconto di se stessa. Nuvolari e le Mille Miglia, quel racconto, glielo offrono. E lo cantano in rima, con musica di carrozzerie e tubi di scarico, tra strofe di rettilinei e vecchie carrozzabili, cippi chilometrici sbriciolati e spiazzi senza nome, province infinite e capoluoghi improvvisi, deserti in minore, strade a srotolo e curve improvvise come sillabe impronunciabili di uno scioglilingua - lirica stradale pura, e sempre un’Iliade tra Varzi e Nuvolari. Polvere alzata all’orizzonte, furiose controsterzate, ma dietro la curva? Andavano a trionfare o a morire, quegli eroi che domavano le nervose Alfa Romeo, le scattose Aprilia, le asseverative Bugatti col doppio albero, le missilistiche Cisitalia? Passavano in una masnada rombante, ma quale destino li avrebbe inghiottiti?

   

Il pilota Tazio Nuvolari nasce due volte. La prima, in moto. Il che non significò monogamia: nel maggio del 1923 – aveva trent’anni – alla Parma Berceto corse di mattina con la moto e di pomeriggio con l’auto, e l’anno dopo sarebbe diventato campione italiano classe 500. I giornali cominciarono a interessarsi a quello strano personaggio motoristicamente ubiquo e a raccontare le sue folli prodezze – uno che, prima di una gara motociclistica, ebbe il fegato di farsi cucire una tuta su misura rinforzando quei punti in cui sapeva che avrebbe sfiorato i parapetti, incautissimo stratagemma che gli avrebbe permesso di slanciarsi in curva con maggior forza. Chi era, dunque, quel Tazio Nuvolari? Uno scapestrato? Un folle? 

   

“Era un innocente,” scrive Casamassima. “Per questo ogni notte dormiva tranquillo.” È il periodo in cui comincia ad appartenere a tutti, il periodo in cui nascono i suoi soprannomi: mantovano volante, Nivola, Campionissimo. Nuvolari che non si separerà mai da una piccola tartaruga d’oro, dono di D’Annunzio (“all’uomo più veloce, l’animale più lento”). Nuvolari e le mille incredibili imprese: la vittoria del 1924 nel Tigullio quando, finito in un fosso, riemerge grazie all’aiuto degli spettatori e taglia il traguardo in prima posizione, sui cerchioni e col volante sostituito da una chiave inglese; i Gran Premi di Monza e le 24 Ore di Le Mans; il trionfo di Montecarlo 1932, le targhe Florio o la caparbia vittoria di Spa-Francorchamps, quando partito ultimo per non aver effettuato alcun giro di prova a causa di problemi di assetto, salterà una notte di sonno e opererà insieme ai suoi meccanici. Ma più clamoroso di qualunque altro fu quel capolavoro del 1935: circuito di Nürburgring, un rompicapo di 172 curve, un trionfo inaspettato per tutti meno che per lui, il Diavolo. Che prima di partire, a Enzo Ferrari che gli chiedeva almeno un piazzamento “per rientrare nelle spese”, aveva risposto: “T’ho mai deluso?”. E ancora una volta andrà così: alla guida di un’Alfa P3, mentre la gara sembrava destinata a sancire il trionfo delle Mercedes simbolo del Reich, Nuvolari non si dà per vinto e ritardando le staccate, scaraventandosi ai limiti delle leggi fisiche e schizzando a ogni curva che si apriva, a tamburo battente vince e stravince.

   

Insomma, c’è tutto il Nuvolari che la Storia ci ha consegnato, in questo libro. E c’è la poesia del supereroe che trionfa perché è umano, ometto di Keaton che strappa gli applausi dalle mani, Nuvolari sempre e solo Nuvolari, con quella sua bella faccia brutta un po’ equina e lunga come un paese intero – perché sì, W l’Italia metà fatica agricola e metà sogno di velocità, metà bambagia domestica e metà avventurismo aerodinamico.

 

Leggendo, vien da chiedersi cosa vedesse Nuvolari, di quell’Italia, dagli abitacoli in cui era insediato mentre sfrecciava tra le macerie della guerra. Come dev’essergli sembrato il mondo da là dentro, il mondo illeggibile e in corsivo che sfrecciava e scolava veloce ai margini dei suoi occhialoni mentre lui rincorreva la morte solo per darle un ceffone. Nuvolari che urlava mentre guidava, arrivato all’ultimo controsterzo conciato male e affaticato, vecchio all’improvviso, buttato giù dall’anagrafe a tonfare nella cruda realtà, con la salute alla fine, provata da anni di gomma bruciata e gas. Nuvolari usurato e stanco che non aveva visto niente ma forse aveva visto tutto, dal centro del miracolo della potenza. Nuvolari per sempre – uno che, prima di ogni gara, diceva alla moglie: “Se ti dicono che sono morto, tu non ci credere”.

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