Dybala durante Lazio-Juventus - Foto Alfredo Falcone 

MAI UNA JOYA

In difesa di Dybala, capro espiatorio dei guai juventini

Triste e in evidente difficoltà, l'argentino non è il solo colpevole del pareggio laziale all'ultimo minuto 

Giuseppe Pastore

La difficile gestione del numero 10, miglior giocatore della scorsa stagione e ora improvvisamente maltrattato in questi tempi aspri dove il nuovo in due mesi è già avvizzito, subito sverniciato dal nuovissimo: e dunque Morata Morata Morata

    Spero che il paragone che sta per arrivare non provochi sommosse popolari tra i talebani dello spoiler: l'ultima azione di Lazio-Juventus come il finale di Assassinio sull'Orient Express. Vetta del genere giallo, il romanzo di Agatha Christie racconta le indagini del detective Hercule Poirot attorno al misterioso omicidio di un criminale di origini italiane, ucciso con dodici pugnalate nel compartimento del lussuoso treno che percorre la tratta Istanbul-Trieste-Calais. Finale a sorpresa.

     

    Chi è il colpevole nel bruciante finale di Lazio-Juventus, che per crudeltà ha ricordato ai tifosi bianconeri l'epilogo della famigerata notte del Bernabeu 2018, quando una Juve perfetta commise all'ultima azione una serie di fatali leggerezze che le costarono l'eliminazione? La vox populi dei social ha già individuato il capro espiatorio in un Paulo Dybala più efebico che mai, che sembra volontariamente esporsi al malvezzo tipicamente juventino di mettere prima o poi all'indice quei giocatori che non corrispondono allo stereotipo del pitbull grintoso, sul pezzo, ferocemente animoso, determinato a non mollare l'osso (un cliché impersonato in epoca recente, oltre ogni ragionevole dubbio, da Mario Mandzukic, oltre che da Giorgio Chiellini e i suoi turbanti). Negli sciagurati quattro minuti di recupero dell'Olimpico, il piano inclinato su cui è scivolata la Juve migliore della stagione, Dybala in effetti ha vestito i panni del villain: una brutta simulazione nei pressi della linea di fondo, quando una gestione più accorta del pallone gli avrebbe fatto guadagnare più secondi e chissà, magari lucrare un calcio d'angolo. E il peccato capitale del controllo pasticciato a 93'40”, su una palla recuperata da McKennie che meritava ben altra gestione e ben altra destinazione.

     

    Lo juventino più oltranzista starà scuotendo la testa, lo immaginiamo: osate difendere Dybala? Per statuto e DNA bianconero a quel punto la partita è finita, ed è finita 0-1. Bizzarro: lo stesso punteggio marchiato a fuoco il 3 marzo 2018, proprio in un Lazio-Juve all'Olimpico, da una prodezza di difficoltà ultraterrena dello stesso Dybala, allora molto più sereno poiché inamovibile nel suo tandem argentino con Higuain. Trattenuto e livellato al suolo da Parolo nell'estremo e disperato tentativo di contenerlo, Dybala era finito per terra, seduto sul proprio ginocchio destro, riuscendo lo stesso a calciare di sinistro verso l'incrocio dei pali della porta di Strakosha e a segnare un gol pesantissimo nell'economia della volata-scudetto 2018 (in quei minuti il Napoli era appena entrato in campo per il riscaldamento della partita serale con la Roma e la notizia della vittoria juventina ghiacciò il San Paolo, gettando le basi per una rovinosa sconfitta per 2-4). Ma nel calcio frullato di questi tempi due anni sono ere geologiche e oggi il re dei minuti di recupero ha un solo nome e cognome, Felipe Caicedo: e qui entrano in ballo le enormi – e un po' taciute – responsabilità degli altri juventini, nascosti dietro il capro espiatorio dall'accento argentino.

     

    Come possono Bentancur e Cuadrado farsi buggerare in quel modo a quattro secondi dalla fine da Correa, costretto nelle secche di una banda laterale? Entrambi sono già ammoniti, ma per salvaguardare due punti non è il caso di spendere anche il secondo giallo e casomai saltare la non impossibile Juventus-Cagliari? E Correa invece se ne va, a quel punto è già arrivato al limite dell'area e non si può più rischiare, e difatti Rabiot e Demiral sembrano più preoccupati di scansarsi che tentare di affondare un minimo contrasto. La palla finisce tra i piedi di Caicedo, spalle alla porta e marcato con la consueta insostenibile leggerezza da Bonucci, sui cui limiti da difensore puro si potrebbero scrivere lunghi volumi. Cosa starà pensando davanti alla tv Chiellini del modo in cui il suo compagno di BBC sta marcando all'ultima azione il pericolo pubblico numero 1, accompagnandolo – è vero – sul piede debole, ma quasi senza nemmeno sfiorarlo? E cosa penserebbero i grandi numi tutelari scolpiti sul Monte Rushmore Bianconero del modo in cui la Juventus si è rattrappita nei dieci minuti finali, rinunciando prima a Ronaldo e Kulusevski e poi pure all'ottimo Morata per l'ormai caricaturale Bernardeschi?

     

    Invece si fa presto a dire Dybala, prima eletto miglior giocatore della serie A 2019-2020 (piuttosto generosamente – per chi scrive, meritava il Papu Gomez) e poi improvvisamente maltrattato in questi tempi aspri dove il nuovo in due mesi è già avvizzito, subito sverniciato dal nuovissimo: e dunque Morata Morata Morata. Come si fa a sacrificare sull'altare di Ronaldo, sia pure lucente e magnificente, un giocatore di cui si sa fin troppo bene cosa lo avvelena, e cioè la mancanza di stima, di comprensione, di spazio, di fiducia? Come si concilia la strombazzata svolta della qualità, che due estati fa portò alla cacciata del pluri-scudettato Allegri reo di giocare un brutto calcio ma è tuttora incompiuta, con la brutalizzazione del secondo miglior attaccante della rosa? Come si può pensare che Pirlo approdi in tempi brevi alla complicata formula per far convivere tutte le sue stelle, se nel frattempo la più delicata di esse viene salutata a ogni ingresso in campo spianando i fucili di precisione? Il calcio è lo sport del demonio: ha avvistato da lontano il nervo scoperto di questo nuovo progetto di Juventus – che è quello di sempre, l'ossessione per la vittoria – e l'ha pizzicato con perizia da cardiochirurgo, sottraendole due punti già in tasca con una specie di suicidio di massa che apre nuove feritine e insiste su vecchie cicatrici. Come l'atavica insofferenza bianconera per il talento che tradisce fragilità, difetto imperdonabile se ti chiami Juventus. Come dicono i battutari dei social, mai una Joya.