That win the best

Sono insensibile, mi piace ancora il calcio

Tutti esperti di protocolli, tamponi e quarantene. Scemo io che guardo ancora le partite

Jack O'Malley

Tra tamponi, test, bolle, positivi, sintomatici, asintomatici, protocolli da rispettare, esperti che lanciano allarmi, ci sono tutte le premesse per discutere notti intere al pub di quanto sia più o meno falsato ogni campionato in Europa quest’anno.

Mettiamoci il cuore in pace, come diceva sempre quello, sarà una stagione calcistica oscena, tra qualche mese rimpiangeremo la perfezione tecnica dei rigori di Rio Ave-Milan, che a oggi sono l’anello mancante tra il calcetto del giovedì sera tra amici e il calcio professionistico. Tra tamponi, test, bolle, positivi, sintomatici, asintomatici, protocolli da rispettare, esperti che lanciano allarmi, ci sono tutte le premesse per discutere notti intere al pub di quanto sia più o meno falsato ogni campionato in Europa quest’anno. Soprattutto in Italia, of course, dove non si perderà occasione per sottolineare come il giocatore più forte in rosa sia mancato proprio alla vigilia della partita decisiva, falsando così il risultato. Non attacchiamoci al virus, ma neppure, come Dier del Tottenham, ad altro: durante Tottenham-Chelsea in Coppa di Lega, martedì scorso, il difensore degli Spurs ha abbandonato il campo per ben altri tamponi. Doveva andare in bagno, è corso negli spogliatoi,  Mourinho non l’ha presa benissimo ed è andato a riprenderlo per rimandarlo in campo. Poi ha ricominciato a insultarsi con l’allenatore avversario, quel Lampard che da giocatore era il suo preferito (fino a che ci faranno giocare a calcio, è così che ci piacciono).

 

 

Adesso che hanno sorteggiato i gironi di Champions ed Europa League non farò nessuna previsione su chi vincerà a fine stagione, sia perché il panico generalizzato a ogni colpo di tosse di giocatore promette malissimo, sia perché sembrerei uno di quelli che in queste ore ci spiegano l’impatto della positività di Trump sulle elezioni di novembre: inventerei. Fatemi però brindare ad Aurelio De Laurentiis, che da uomo di cinema è già riuscito a trasformare i tamponi ai giocatori del Napoli in una saga stile Avengers, con giornalisti e tifosi in attesa della prossima uscita dei bollettini e della conseguente decisione della società. Fatto sta che di pallone si parla sempre meno (e tra poco finirà pure il mercato),  i medici sportivi con specializzazione in virologia in Italia hanno superato i commissari tecnici, gli ultras sono scomparsi, le chiacchiere al pub sulla partita pure, i cori dei mille tifosi presenti allo stadio fanno venire il magone, ci si insulta  su Twitter, ognuno al massimo davanti alla propria balcony view, ma con la mascherina. E attenti a elogiare troppo il calcio, magari come occasione di divertimento e fuga dalle cose brutte di questo periodo, o rischiate di fare la fine di quel professore della Ohio State University che ha osato scrivere un articolo per dire che promuovere il football nei college potrebbe aiutare a unire un paese diviso, visti i valori che lo sport insegna.  Il povero professore ha dovuto fare marcia indietro, chiedere scusa per il suo razzismo che ha ferito tante persone, soprattutto di colore, e promettere solennemente di farsi rieducare all’antirazzismo. Come ha osato esaltare il football come distrazione e divertimento quando invece è il covo del peggior razzismo? Si sa, lo sport unisce, trasmette valori e piace ai giornali   e alle marche di moda solo quando è pugno chiuso e protesta di sinistra, altrimenti svia, è irrispettoso e non tiene conto dei problemi reali. Per fortuna oggi c’è Leeds-Manchester City,  domani Manchester United-Tottenham. E scusate la mia insensibilità. Anzi, no. 

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