Da Ibra a Galliani. Contro il Bologna il Milan è finito nel girone dei ricordi

Giuseppe Pastore

L'ex dirigente rossonero che esulta è un campanellino che risuona da lontano nel conscio e nel subconscio dei milioni di milanisti anestetizzati dalla mediocrità degli ultimi anni

Nell'estate in cui, apparentemente, l'Inter si è data un'altra passata di vernice bianconera mentre la Juventus sta cercando di oltrepassare la propria natura di scorpione che vincere-è-l'unica-cosa-che-conta per fare o immaginare qualcosa d'altro, in tribuna VIP a San Siro si rivede Adriano Galliani che esulta per un gol del Milan. È un'immagine così antica, di quelle che sembrano esserci sempre state: la giacca aperta sulla camicia bianca, nell'umido settembre milanese che anticipa la pioggia, ma in cui fa ancora troppo caldo per la cravatta; la mascherina malmessa a lasciare scoperto il naso, le braccia alzate e le mani che si agitano di vita propria per un secondo, niente di più, è appena la prima giornata, arrivederci arrivederci.

  

 

Galliani che esulta è un campanellino che risuona da lontano nel conscio e nel subconscio dei milioni di milanisti anestetizzati dalla mediocrità degli ultimi anni. È come Non, je ne regrette rien di Edith Piaf che fa svegliare i protagonisti di Inception – un paragone che Galliani e quel suo vecchio socio, grande appassionato di chansonnier francesi, sicuramente apprezzeranno. I suoi pugni si levano al cielo poche settimane dopo il lieto fine della telenovela del rinnovo di Ibrahimovic, annunciato esattamente dieci anni dopo la picaresca missione catalana di Galliani che tornò a Milano con il primo Zlatan preso a prezzi stracciati con la longa manus dell'amico Mino Raiola che oggi è tornato (in)discreto azionista di minoranza dello spogliatoio, possedendo la proprietà del centravanti, del portierone Donnarumma e del capitano Romagnoli.

  

Non lo sfiora – perché dovrebbe? - l'eventuale indelicatezza di essere diventato nel frattempo l'importantissimo dirigente di un'altra squadra, che l'anno prossimo potrebbe addirittura ritrovarsi nello stesso campionato del Milan. Ha una quantità di pelo sullo stomaco sufficiente a sostenere posizioni ben più scomode: nel 2003, da presidente di Lega interpellato sugli spericolati giri di plusvalenze tra le due milanesi, ebbe il fegato di dichiarare “Se Milan e Inter hanno voglia di scambiarsi i giocatori, io non posso farci niente”. Il tempo ha fatto il suo giro e oggi le plusvalenze sono tornate di moda, ma nessuno si ritiene abbastanza dotato di faccia tosta per poter pronunciare una frase del genere e pretendere di passarla liscia. Galliani sì. Con ogni probabilità questo Ibra, questa nostalgia, questa dolce estate non serviranno al Milan a rivincere lo scudetto, e gli ultimi venti allarmanti minuti rivelano che forse la rosa attuale non basta neanche ad arrivare in Champions League; ma nel giorno in cui a Perugia si svelano nuove e imprecisate magagne del calcio italiano, il Galliani felicemente sgangherato che si esalta per il gol di Ibra, el de siempre come in Sudamerica chiamano i personaggi che non muoiono mai, riporta il calendario del tifoso – quello che si scandisce per stagioni calcistiche e non per anni solari – proprio a Perugia, lontani giorni di maggio, giorni felici: l'ultima giornata di un campionato che il Milan aveva iniziato proprio con una vittoria sul Bologna, aperta da una gran capocciata del suo centravanti venuto dal Nord Europa: Oliver Bierhoff.

 

Ah, i milanisti impazziscono per queste coincidenze.

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