Pionieri e palindromi. La rievocazione della Firenze-Pistoia

La prima corsa ciclistica su strada venne corsa 150 anni fa. Allora il velocipide era il ritrovato tecnologico che sorprendeva, estasiava e anche un poco atterriva la gente di città. Ora la bicicletta continua a sorprendere

Gino Cervi

Oggi, domenica due febbraio duemilaventi, data palindroma che, a guardar bene, un poco assomiglia alla forma platonica di un velocipede (02022020), si è corsa la rievocazione della prima corsa ciclistica su strada disputatasi in Italia 150 anni fa da Firenze a Pistoia. Era infatti il 2 febbraio 1870, quando Firenze era ancora per pochi mesi capitale d’Italia e “La Nazione”, il quotidiano cittadino fondato undici anni prima, pubblicava lanciava questo annuncio: “Si preparano bei giorni per il velocipede. Il Veloce Club, recentemente istituito a Firenze, bandisce ‘a popoli una prima gara fra velocipedisti cosmopoliti! Il due di febbraio avrà luogo la prima corsa dei velocipedi da Firenze a Pistoia. Trentatré chilometri né più né meno”.

   

Un secolo e mezzo dopo varie associazioni del territorio, dalla Unione nazionale veterani dello sport al Comitato toscano di ciclismo, all’Unione italiana sport e turismo, insieme a una nutrita schiera di appassionati praticanti e cultori e con l’appoggio delle istituzioni territoriali – gli assessorati regionali allo sport e al turismo, gli assessorati allo sport dei Comuni di Firenze e di Pistoia, è stata riproposta la gara capostipite del ciclismo italiano su strada. All’epoca la corsa era partita da Ponte alle Mosse, alle 9 di mattina, e davvero era stata una manifestazione cosmopolita: dei 23 iscritti, almeno 10 rivelavano dal loro nome una provenienza straniera. Del resto, i velocipedi all’epoca in Italia era una scoperta assai esotica. Pochi mesi prima, proprio a Firenze, al parco delle Cascine, come raccontava sempre una cronaca sulle pagine della “Nazione”, era stato avvistato “un velocipede a due ruote, istrumento molto sparso in Francia e in Inghilterra, ma che noi non conosciamo ancora. Il signor Favre, fabbricante a Voiron (Isère), vi saliva sopra da sé, correndo con straordinaria velocità: egli si è recato a Firenze con l’intenzione di mettere un deposito di questi velocipedi al Bazar Europeo”.

 

Il velocipede – al tempo non si era ancora affermato il termine “bicicletta” – era il ritrovato tecnologico che sorprendeva, estasiava e anche un poco atterriva la gente di città, abituata a carrozze e birocci trainati da animali. Ora che l’uomo, per dirla come Gianni Brera, diventava “somiero di sé stesso”, quell’astrusa combinazione di metallo, legno e forza muscolare, che rivoluzionava tempi e spazi del dinamismo umano era considerata, a seconda delle prospettive, un mirabile ritrovato delle “magnifiche sorti e progressive” del genere umano oppure uno strumento di diabolica perversione da cui giovani, donne e anche i preti dovevano stare alla larga. Lo spiega assai bene il saggio, di recente pubblicazione per i tipi del Mulino, di Stefano Pivato, Storia sociale della bicicletta. Come invece racconta altrettanto bene, e con piglio e taglio romanzesco, quella pionieristica manifestazione toscana il libretto di Paolo Ciampi La prima corsa del mondo. Campioni e velocipedi nella Firenze capitale (2013).
Sui 33 chilometri, tra il capoluogo toscano e la città dello stilnovista Cino e di Ardico Magnini, magnifico terzino della Fiorentina anni ‘50, del “maestro venerabile” Licio Gelli e della matita al fulmicotone di Vauro Sanesi, una quarantina di eroici velocipedisti hanno rifatto il percorso di 150 anni, sfidando il freddo, le nuvole basse, le strade ormai poco pensate per le due ruote spinte a pedali. Anche in questo caso, nutrita è stata la presenza “cosmopolita”: un mansada di velocipedisti transalpini, che a inizio novembre hanno rievocato la Paris-Rouen del 1869, prima corsa ciclistica al mondo, è venuta a rendere omaggio ai sodali italiani. Pesantissimi velocipedi dai ferrei telai e dalle ruote di legno, con la trasmissione solidale alla ruota – ancora senza trasmissione a catena, per intenderci – solo arrivati intorno all’ora di pranzo nella bellissima piazza della Cattedrale, a Pistoia, all’ombra del Battistero, del duomo di S. Zeno e del suo portale robbiesco. A scortarli, molti “eroici” italiani e qualche recente gloria del ciclismo nazionale, da Gilberto Simoni, due volte vincitore del Giro d’Italia (2001 e 2003) e Mara Mosole, campionessa italiana anni Ottanta, e oggi tra i più bei sorrisi del movimento ciclo vintage nazionale. Ad accoglierli, anche la bonaria ma autorevole presenza dell’avvocato Carmine Castellano, per una ventina d’anni direttore del Giro d’Italia, un’enciclopedia vivente, e intelligente, della storia del ciclismo. Particolarmente felice dell’imprese di Michel, che sfoggiava una faccia da film di Chabrol e una maglia viola Mercier à la Raymond Poulidor. Come Pou-Pou, anche Michel arriva dal Limousin ed è particolarmente soddisfatto di aver portato a termine la sua piccola impresa: tornava oggi in sella dopo un infarto.
La pioggia ha risparmiato gli avventurosi velocipedisti, che hanno sfiorato la vertiginosa media di 20 km/h per coprire la trentina di chilometri. Facendo dunque meglio del vincitore di centocinquant’anni fa, l’americano Rynner Van Neste, che impiegò 2 ore e 12 minuti per coprire i 33 km. Il caloroso contorno di pubblico occasionale e di affezionati cultori si è stretto intorno ai velocipedisti anche nei meravigliosi spazi della Biblioteca di San Giorgio, in un connubio di ruote e pagine, telai e frontespizi, dove era allestita anche una piccola ma preziosa mostra di biciclette Bianchi, a cura di quell’estroso collezionista argentino-padovano di Gianfranco Trevisan. Il popolo del pedale non delude mai. Oggi, come 150 anni fa, “si preparano bei giorni per il velocipede”. Le date palindrome si addicono alle celebrazioni felici.

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