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il foglio sportivo – storie di storie

Che fatica!

Mauro Berruto

La necessità e i benefici del faticare. Due libri

Nel 1891 il torinese Angelo Mosso pubblicò, con l’editore Treves, un libro dal titolo geniale: La Fatica. Così: senza sottotitolo, senza nessuna altra spiegazione. La Fatica e basta.

 

Angelo Mosso era nato in una famiglia molto povera, passò la sua infanzia nella bottega da fabbro del padre e sviluppò in quegli anni un atteggiamento nei confronti della vita fondato sull’idealizzazione del sacrificio. Come in tante storie umane di fine Ottocento riscattò le condizioni così complicate del suo venire al mondo grazie allo studio. Si laureò a pieni voti in Medicina e incominciò una brillantissima carriera di ricercatore sperimentale. Girò l’Europa, costruì intorno a sé stima, ammirazione, fama tanto che al ritorno nella sua Torino ottenne la direzione dell’Istituto di Fisiologia, inaugurando un periodo di grande splendore per gli studi di biologia e fisiologia italiana. Nel suo lavoro troviamo tesi profetiche per quegli anni di pionierismo atletico in cui gli sport di fatica come il ciclismo, la lotta, la boxe appassionavano le folle. Nei suoi scritti si scagliò contro i sistemi educativi nei quali non si pensa ad altro che al cervello e, in maniera del tutto coerente al proprio pensiero, diventò dal 1896 fino alla sua morte il Presidente della Società Ginnastica di Torino, la più antica polisportiva italiana, ancora oggi esistente. Il suo approccio olistico allo studio della fatica (il primo capitolo del libro inizia con l’analisi della migrazione degli uccelli dall’Africa: quaglie, rondini, gru, cicogne, che dopo nove ore di traversata presentavano segni di estrema stanchezza) e le sue convinzioni scientifiche lo portarono a organizzare un Congresso Nazionale di Educazione Fisica, nel 1898, proponendo in tale sede il primo Campionato di Calcio che verrà disputato, proprio a Torino, l’8 maggio di quell’anno. Insomma, dobbiamo tanto a questo scienziato che interpretò la fatica come un farmaco potentissimo.

 

Viviamo oggi in un mondo che tenta di anestetizzare la fatica e la rielaborazione di un messaggio come quello di Angelo Mosso ci ricorda che l’uomo deve formarsi tanto fisicamente quanto moralmente e intellettualmente e che nell’allenamento la contaminazione di queste tre dimensioni porta beneficio a ciascuna di loro. Una necessità modernissima, anche nella nostra scuola, verrebbe da aggiungere. Così moderna da permetterci di ritrovare esattamente le stesse suggestioni nel libro di Matteo Rampin, Elogio della fatica. Vincere senza segreti (Ponte alle Grazie, 2014). In realtà l’autore costruisce la narrazione della fatica (intesa come medicina o ingrediente fondamentale per il successo) grazie alle parole di grandi campioni come, in rigoroso ordine alfabetico, Mirco Bergamasco, Igor Cassina, Luca Dotto, Rossano Galtarossa, Christof Innerhofer, Pino Maddaloni, Mihhail Ryzhov, Clemente Russo, Alessandra Sensini e Tullio Versace. Dieci dialoghi, dieci riflessioni con sportivi che sulla fatica hanno costruito la loro carriera e i lori successi e che diventano testimonial viventi di un valore che rischiamo di smarrire. Un tesoro che non solo Angelo Mosso aveva identificato nei primi decenni dell’unità del nostro Paese, ma che già un campione del pensiero come Aristotele aveva raccontato, nel IV secolo a.C., nella sua Etica: “Si ama di più ciò che con più fatica si è acquistato”.

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