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La solitudine di Hamilton

Fabio Tavelli

Quando la Formula 1 diverte davvero i tifosi, lui non c’è mai

La solitudine del numero uno. Vince (quasi) sempre lui e tutti dovrebbero spellarsi le mani al suo passaggio, osannarlo con un inchino come si fa con i regnanti, illuminati o meno. Lui stesso si affanna a dire, all’olandesino prima e al francesino poi: “Che bello, finalmente possiamo sfidarci”. Come a voler ribadire una superiorità, con quel desiderio intimo e mai confessato di aver bisogno ancora di qualcosa di farsi considerare davvero il sovrano. Non sarà certo il quinto posto in Stiria a togliere il sonno a Lewis Hamilton. E nemmeno a insidiare la sua leadership in classifica. Però. Però c’è qualcosa che non lo appaga ancora, un piccolo ma nemmeno troppo minuscolo granello di sabbia che tormenta, magari tormenta no ma certamente rende meno luminoso il sole sul suo avvenire. Il fatto è presto detto. Quando c’è qualcosa che eccita profondamente i tifosi del motorsport, lui non c’è. Sì, certo, a Montecarlo ha fatto a ruotate con Verstappen, ma in quell’occasione è stato il flying Dutchman a sportellarlo. Lui si è limitato, si fa per dire, a tenere la barra dritta e a ringraziare lo stellone, che raramente lo abbandona, per non essersi strofinato contro un muretto. Il corpo-a-corpo lo riguarda sempre poco, pochissimo. Si dirà, ovvio, lui va più forte degli altri e quindi gli basta partire davanti e chi s’è visto s’è visto. Non è questione da poco.

  

La solitudine di Lewis è anche nella sua ricerca quasi ossessiva nel volerci essere, voler apparire sui social perché così basta stare in un posto per stare in tutti gli altri. Ansia da presenza, necessità di affermare il diritto al riconoscimento del suo numero uno. Ma manca sempre qualcosa. Manca la sublimazione catartica, il “momento wow” quando il condottiero senza paura trattiene il piede prima di pigiarlo sul freno e allunga una staccata per infilare qualcuno davanti. Eh sì, caro LH, con l’ala mobile aperta su un lungo rettilineo è come schiacciare da soli in campo aperto. Max e Charles se le sono date di santa ragione, anche il piccolo Lando ha fatto vedere di avere del coraggio e se la sua McLaren continuerà a evolvere ce l’avrai presto tra i piedi. Tutti aspettiamo anche che Ricciardo, altro pistolero da saloon, si liberi della giallona per tornare alla mossa della finta-destra-scarto-a-sinistra che tanti lutti addusse agli avversari quando guidava da torello. A fine stagione saranno sei e magari alla fine del ventiventi Hamilton avrà anche raggiunto Michael Schumacher a quota sette titoli mondiali. Anche sul kaiser qualche dubbio sulla penuria di duelli rusticani c’è sempre stato, prova ne sia che nel momento del Nirvana è Hakkinen che lo infila (Spa, 2000). Non sulla classe, non sul talento. Come nessuno può dubitare di quello del moro. Il “ma” arriva quando chiedi se c’è un sorpasso che ti si è stampato in testa. Non è un caso che i ferraristi amino ancora alla follia uno come Gilles Villeneuve, che le macchine le lessava in prova e le scassava in gara ma sapeva accendere le fantasie come un dribbling di Garrincha. La solitudine di Lewis. Troppo forte la sua Mercedes, troppo forte lui nei confronti di Bottas, tornato al “signore, sì, signore” dopo un paio di accenni d’indipendenza dal ruolo di cadetto subito schiantati da quattro vittorie in fila del comandante in capo. Con Rosberg non era sempre così, con quel biondino si finiva ogni tanto a ruotate ma il perfido con gli occhi azzurri dopo averlo battuto non ha concesso la rivincita. E anche questo pesa nei pensieri meno confessabili di LH. Schuamcher non avrebbe mai permesso a un suo vice di alzargli in faccia i titolo mondiale. Senna? Beh, accadde. Ma l’altro era Prost. Se permettete, ci può stare. Anche se poi bisognerebbe riprendere a discutere se a Suzuka ’89 quello che fece il francese fu corretto o no. Ma è roba caduta in prescrizione. La Formula 1 sarebbe più bella senza la Mercedes. Non lo dicono i tifosi della Ferrari, o forse sì. Bisognerebbe aggiungerci un “così forte”. E riformulare. La Formula 1 sarebbe più bella senza la Mercedes così forte. E allora tutte le gare sarebbero come sul Red Bull Ring, ovunque avremmo duelli, trielli o quadrielli e fa niente se abbiamo saputo il nome del vincitore quando anche l’ultimo chiosco aveva esaurito la birra alla spina. A beneficiarne sarebbe anche il solitario Lewis, magari meno in solitudine e costretto ogni tanto a condividere il pane dell’amarezza e a spezzarlo con chi molto spesso gli vede solo gli scarichi in lontananza. Ma sai che goduria mettere a muro Sebastian senza DRS o fare a cornate con Max senza schiacciare il pulsante magico.

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