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La Ferrari ha un conto in sospeso con Silverstone

Fabio Tavelli

Vent’anni fa l’incidente di Schumacher e il Mondiale perso per due punti

Il pivotal moment avvenne un giorno di luglio, l’11, nella seconda metà dell’ultimo semestre dello scorso millennio. Erano passati 20 anni tondi dal Mondiale piloti portato a Maranello da Jody Scheckter. Ne sarebbero passati altri 20 per arrivare ai giorni nostri. La Ferrari era messa non troppo diversamente da oggi. Inseguiva. Sullo spread possiamo discutere, allora la carota la tenevano Williams e McLaren. Ma quest’ultima era spinta da un motore Mercedes e quindi le cose un po’ tornano. Erano anni di disperata rincorsa, quelli che il Drake definiva “garagisti” vincevano sempre e se Jody era stato l’ultimo, a poco servivano per lenire il dolore i due titoli costruttori dell’82 e ’83. La Ferrari le aveva provate tutte, alcune erano andate benino altre malissimo. Tipo aver portato in Emilia un ingegnere considerato un genio come John Barnard. Eufemismo geografico perché dalle parti di Fiorano l’illustre si vide pochissimo e i risultati non furono mai in linea con il bonifico mensile che riceveva in sterline. Poi nel ’96 arrivò Michael Schumacher, fresco di un paio di Mondiali conquistati. Sebastian Vettel arrivò con un carico doppio e siamo alla boa anche per lui. Il tedesco con sette corone dovette andare a vuoto quattro stagioni (96/97/98/99) prima di iniziare il filotto di cinque.

 

Quello attuale è nella quinta e diciamo che nella migliore delle ipotesi potrebbe iniziare dalla prossima. Ma il Gran Premio di Silverstone, cabala a parte, rappresenta davvero il momento di svolta per la Ferrari. Quel giorno Schumacher sbagliò completamente la partenza. In qualifica si era piazzato secondo dietro Hakkinen che su di lui aveva un bel +8 in classifica. Erano anni di manica stretta per i punteggi, andavano a punti i primi sei e chi sentiva il proprio inno scriveva 10, quello appena dopo si fermava a sei. Quindi otto lunghezze erano poco ma non pochissimo. Anche se rispetto a oggi, non ne parliamo… Dietro Schumacher in griglia c’erano Coulthard e Irvine. Che alla prima curva, la Copse, il teutonico si era già trovati davanti con il finnico che se andava verso le Becketts. Accadde però che Villeneuve jr e Zanardi ebbero un problema al semaforo verde e non riuscirono a partire. Il direttore di corsa espose la bandiera rossa ma qualcosa non funzionò nella comunicazione ai piloti, che avrebbero dovuto rallentare e andarsi di nuovo a ripresentare sotto lo striscione per rifare la partenza. Schumi aggredì subito Irvine per recuperare almeno una posizione. L’irlandese non si sdraiò del tutto e gliela contestò un po’. Ma il sorpasso stava andando a buon fine prima di imboccare la curva Stowe. Tutto questo, è bene ricordarlo, in regime di bandiera rossa quindi in una situazione che a norma dovrebbe prevedere vetture incolonnate e non belligeranti. Ma evidentemente c’era qualcosa che non andava nel trasferimento del messaggio perché andavano tutti come dei satanassi. Ma soprattutto qualcosa non andava nell’impianto frenante della Rossa di Schumi. Che al momento di rallentare per impostare la curva andò dritta come un fuso contro le barriere di protezione. L’impatto fu tremendo proprio perché in quasi totale assenza di frenata. Fortuna volle che un po’ la ghiaia, un po’ gli pneumatici messi come cuscinetto e anche il fatto che lo spazio tra la pista e le barriere era abbastanza ampio, contribuirono ad attutire una botta che fu comunque tremenda. Ci fu il tempo materiale per chi assisteva in tv di elaborare neurologicamente un “ma cosa diavolo fa, perché non frena?”. Michael si fratturò tibia e perone, venne estratto dall’abitacolo non senza fatica e soprattutto costrinse l’alfiere ferrarista, l’uomo sul quale Maranello puntava tutto per tornare a vincere il titolo piloti, a fermarsi per un numero al tempo non precisato di gare e a dire addio anche al quarto tentativo di caccia al successo. Era il crollo di un sogno, l’ennesimo. Un momento di sconforto che invece rappresentò una svolta. Schumacher guarì, tornò in tempo per aiutare Irvine (e lo fece davvero) ma pensare di vincere un Mondiale dopo venti con uno come l’irlandese doveva apparire troppo anche agli dèi del Motorsport. Che pretesero l’ennesima beffa di un titolo preso da Hakkinen per due piccoli punti all’ultima gara (che Irvine iniziò a +4, occorre ricordare). Ma che prepararono il terreno per un lustro di doppiette piloti-costruttori che non ha avuto eguali nella storia della Ferrari. Domani si torna a casa degli inglesi, hai visto mai che in qualche modo, possibilmente senza un crash, anche questa rossa possa svoltare…

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