Alex Zanardi (foto LaPresse)

La terza vita di Zanardi

Giorgia Mecca

Coach di handbike, punta a Tokyo 2020 (non solo per sé)

Correre con l’handbike non gli basta più. Adesso Alex Zanardi vuole trasmettere il suo agonismo anche agli altri. Non è un gioco, non lo è mai stato, sono le prossime Olimpiadi di Tokyo. Si fa sul serio, come al solito. L’obiettivo è quello di portare – grazie al sostegno del progetto “Rio Mare Nutre lo Sport” – almeno tre atleti ai prossimi giochi paralimpici in Giappone. Manca un anno esatto, la preparazione è già cominciata. “Per me è sempre stato molto facile fare sport – dice Zanardi al Foglio – se ho qualcosa da dire le persone si fermano ad ascoltarmi, le porte si spalancano. Ma so che per altri non è così, per 
loro l’allenamento è un privilegio e un costo economico non trascurabile”. Per questo ha fondato Obiettivo 3, una società sportiva che vuole avvicinare le persone disabili alla pratica sportiva oggi affiancata da Rio Mare per realizzare l’obiettivo paralimpico.

 

Ha fondato Obiettivo 3, società che avvicina i disabili alla pratica sportiva. Oggi sono circa 50 le persone coinvolte

Sono circa cinquanta le persone coinvolte da Zanardi, uomini e donne, adulti e bambini. Tra di loro c’è anche Ana Maria Vitelaru, che dopo dieci anni passati a giocare a basket in carrozzina, dal 2015 ha deciso di dedicarsi all’handbike e l’anno scorso ha conquistato due bronzi ai Mondiali. Il 7 luglio lei e Alex Zanardi correranno insieme la Maratona delle Dolomiti, per Ana Maria sarà la prima volta. “Dopo che ho avuto l’incidente”, dice Vitelaru “ho subito un’amputazione bilaterale transfemorale, la stessa di Alex. Amavo fare trekking in montagna, i medici mi hanno detto che avrei fatto meglio a dimenticarmene”. Ana Maria però per una volta ha preferito non ascoltarli, si è imputata e si è allenata, non voleva rinunciare anche a quello “Mentre mi preparavo per tornare in alta quota ripetevo a me stessa: io non sono un’amputata, io sono Ana Maria e basta”. Dopo 17 anni è riuscita a tornare in alto, a camminare in montagna: “Lì ho capito che non sono solo le gambe a farti andare avanti, ma anche il cuore che ci metti ogni volta”. Appena ha capito che l’obiettivo è stato raggiunto ha deciso di 
dedicarsi ad altro, all’handbike. Gli sportivi non passano le loro vite in palestra per ammirare i loro trofei e farsi i complimenti da soli, vogliono sempre qualcosa in più.

 

L’atleta, che oggi ha trentasei anni, è una delle sei persone che ha ottenuto una borsa di sostegno all’attività sportiva da parte della Rio Mare per poter sognare i Giochi in Giappone. La preparazione sta andando meglio del previsto, domenica scorsa in Veneto ha vinto i campionati italiani assoluti nella categoria H5, la stessa categoria dell’ex pilota bolognese. Zanardi prima e dopo la gara è stato al suo fianco e le ha fatto da meccanico. L’ex pilota bolognese è ovunque e fa ogni cosa, tutor, atleta, motivatore, frontman, gli va bene qualsiasi definizione. “Sembra retorica ma è la verità. Ci ho infilato dentro un sacco di cose in questi cinquantatré anni. Il giorno in cui ho perso le gambe non mi è sembrato che la vita mi stesse offrendo una grande opportunità, però lo è diventata, forse la migliore della mia vita. Tutte le cose che faccio oggi sono conseguenza della mia nuova condizione”.

 

Veronica aveva 14 anni quando lo ha conosciuto, muoveva a fatica le braccia, era arrabbiata con la vita. Oggi sorride

Dopo l’incidente nella pista Lausitzring il 15 settembre del 2001, per Alex Zanardi c’è stata l’estrema unzione, il coma farmacologico, l’amputazione immediata di metà del corpo, il risveglio, guardare le proprie gambe e non vedere niente. Doveva ricominciare da zero, cercare nuovi punti di riferimento e nuovi equilibri. Li ha trovati quasi subito e nel 2012 ha partecipato alle Paralimpiadi di Londra. Da allora ha conquistato quattro ori e due argenti. Anche lui, come gli atleti che segue, guarda Tokyo e ci spera. “Il sogno è quello di andare in Giappone come atleta ma anche come tutor dei miei ragazzi”. Non lo fa per altruismo, ammette, ma per l’esatto contrario “è un gesto di egoismo, prima di tutto guardare i loro miglioramenti fa stare bene me”.

 

Fabrizio Cornegliani è diventato tetraplegico dopo un incidente durante un allenamento di arti marziali. All’inizio non riusciva a muovere né le braccia né le mani. Il corpo aveva smesso di rispondergli. E’ stato un recupero lunghissimo, doloroso e frustrante. Cornegliani non si è dimenticato di niente: “Mi ricordo ancora i miei primi cento metri su una handbike. Mi avevano completamente legato con del nastro isolante per non farmi cadere, non riuscivo a spingere, mi sembrava di non andare avanti, mi mancavano le energie”. Oggi, a cinquant’anni, i suoi cento metri dopo allenamenti, dolore e sudore, sono diventati 70 chilometri. Anche lui, grazie alla borsa di sostegno Rio Mare può sognare il Giappone.

 

Non è solo una questione di riabilitazione, lo sport aiuta a ritrovare un posto nel mondo. Veronica aveva quattordici anni quando ha conosciuto Zanardi, muoveva a fatica le braccia, era arrabbiata con la vita e ne aveva il diritto. Se si osservava allo specchio riusciva a vedere soltanto la sua menomazione. Non guardava negli occhi nessuno perché lo sguardo degli altri le restituiva soltanto compassione di circostanza e poi “poverina, poverina, poverina”. Anche quando non lo dicevano ad alta voce lo pensavano. “Ma lei non aveva bisogno di sentirsi poverina, doveva sfogare quella rabbia, dimenticarsi del braccio”. Lo sport le ha regalato una vita nuova, adesso Veronica ogni volta che incontra qualcuno lo guarda negli occhi e sorride.

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