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La (seconda) partita che non doveva essere giocata: Venezia-Salernitana

Leo Lombardi

Il playout della serie B ha colto le due squadre nel bel mezzo di una annata considerata ormai finita da giorni. Gianmarco Zigoni, attaccante dei veneti, ha dato senso al ritorno

Non sarà la partita più lunga nella storia del calcio italiano, sicuramente sarà una delle più assurde. Merito, o colpa, ancora una volta della ineffabile serie B che, tra commissari straordinari, organi giudicanti oppure di governo regolarmente eletti, non sbaglia un colpo, lasciando sempre a bocca aperta. La scorsa stagione la retrocessione dell'Entella, ritrovatasi in C1 nonostante, tra società cancellate e penalizzate, possedesse tutti i titoli per evitare la retrocessione. In quella attuale la sentenza della Corte di appello federale che ha invece salvato il Palermo, in precedenza spedito all'ultimo posto per illeciti amministrativi. Una punizione trasformata in penalizzazione di 20 punti, con Foggia retrocesso al posto dei siciliani e obbligo di disputare il playout salvezza, vista la rivoluzione della classifica.

 

Un playout che ha colto Salernitana e Venezia nel bel mezzo di una annata considerata ormai finita da giorni, con giocatori già consegnati alle Nazionali oppure che avevano svuotato la mente. Una partita messa in piedi senza una preparazione mentale e atletica, tra due avversarie che si era congedate dal campionato l'11 maggio e che pensavano a come organizzare la prossima campagna acquisti. Certo, non c'era stato il classico rompete le righe, per timore di un colpo di coda poi verificatosi, ma l'intensità del lavoro non era stata quella di chi doveva affrontare un doppio match che vale la stagione. Con il solito Serse Cosmi, allenatore dei veneti, a toccarla piano: “C'è stata una omertà mediatica scandalosa che non mi è piaciuta”.

 

Così Salernitana e Venezia si sono ritrovate mercoledì 5 giugno all'Arechi, per dare vita alla prima delle due partite che nessuno avrebbe voluto (e dovuto) disputare. E che gli ospiti hanno rischiato di veder trasformarsi in una condanna preventiva senza vie di fuga. Sotto di due reti al 92', con la prospettiva di affrontare la scalata di una montagna al ritorno. Fino a quando Gianmarco Zigoni si è trasformato ancora una volta nell'uomo della provvidenza. Lo era già stato una prima volta proprio all'ultima giornata, quando il Venezia pareva perduto sul campo del Carpi retrocesso. Ancora una volta sotto 2-0, ancora una volta disperato. Fino a quel giorno il contributo di Zigoni non era esistito: quattro partite, di cui una sola da titolare, e zero gol. A Carpi era entrato tre minuti dopo l'intervallo per confezionarne tre, tutti in una sola volta. Gli ultimi due negli ultimi due minuti, garantendo al Venezia la vittoria e l'accesso ai playout, poi trasformato in momentanea salvezza dalla condanna del Palermo.

 

Da quel giorno Zigoni non solo non aveva giocato, ma non si era praticamente allenato, fermato da problemi fisici. Ma anche a Salerno è stata la carta della disperazione per Cosmi. E anche a Salerno ha tenuto a galla i suoi, con un colpo di testa a tempo scaduto che ha riacceso le speranza di salvezza del Venezia e i riflettori su un figlio d'arte mai sbocciato appieno. Papà Gianfranco appartiene a un altro calcio, vissuto tra gli anni Sessanta e Settanta. Un attaccante fatto di genio e di altrettanta sregolatezza, di cui la Juventus si innamorò quando aveva 17 anni. Un amore non ricambiato sul campo, in cui le pause erano sempre più lunghe delle prestazioni positive. Un rapporto che si trascina per nove anni, fino al 1970, quando i bianconeri decidono che Zigoni non sarebbe mai diventato un giocatore per loro importante. Troppo indipendente, troppo ribelle, troppo anticonformista e antisistema per rientrare nei canoni juventini. L'attaccante trova il suo approdo ideale a Verona, dove esalta i tifosi con le giocate e fa impazzire gli allenatori con le trovate. La più incredibile il 1° febbraio 1976, quando al Bentegodi si presenta la Fiorentina. L'allenatore dei veneti è Valcareggi, che non schiera Zigoni titolare. In risposta l'attaccante si presenta in panchina con una pelliccia sopra la tuta e un panama in testa.

 

Un carattere totalmente opposto a quello del figlio, sedotto e abbandonato dal Milan a vent'anni e poi autore di una carriera sviluppatasi tra serie B e C, con l'ombra del padre come ingombrante compagna. Tanti gli infortuni, pochi i gol. Solo a Ferrara ha trovato un po' di requie, con due stagioni e mezzo in cui ha aiutato i ferraresi a ritrovare la serie B. Ora a Venezia si aggrappano a lui per mantenerla. Domenica pomeriggio sapremo.