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Dentro ai caschi dei piloti della Formula1

Giuseppe Picciano

L'Hp77 è il casco utilizzato da oltre la metà dei partecipanti del Circus. E dietro il progetto ci sono due ingegneri di Maiano, Martin e Luis Aversa

Martin e Luis Aversa, 63 anni insieme, sono i due fratelli italiani che vestono le teste dei piloti di Formula 1. E non solo. Da loro sfilano pure decine di piloti di Formula 2, Formula 3 e karting. Hp77 è il nome del sofisticatissimo casco che hanno progettato e prodotto per Hamilton, Leclerc, Grosjean, Raikkonen, Giovinazzi e Kubica: 11 sui 20 del Circus. Hp77 è la sigla che potrebbe idealmente sintetizzare anche il successo di questi due ragazzi che arrivano da Maiano, una frazione di Sant’Agnello, penisola sorrentina.

 

Ingegnere aerospaziale, Martin ("se lo dici per più di tre volte ti fa male la mascella"); ingegnere gestionale della logistica, Luis ("un’insalata di nozioni salienti pescate nei più disparati campi dell’ingegneria"), sono da un paio di anni i ricercatori di punta della multinazionale Bell e lavorano nella sede di produzione a Manama, in Bahrein, con affaccio sulla pista di Formula 1.

 

C’è sicuramente della trasmissione genetica nel loro estro. Discendono da una famiglia di artigiani della creta con i quali non mancano analogie. Sono cresciuti osservando lo zio Marcello creare dal nulla mattoni rossi, tegole, vasellame e cuocerli nella fornace. "Io non uso la creta – spiega Martin – ma fibra di carbonio e resina, che all’inizio sono molli. Non modello con le mani, ma produco uno stampo sviluppato al computer; non taglio con le dita, ma con strumenti di alta precisione; non uso un forno, ma un’autoclave che conferisce al materiale temperatura e pressione volute, indurendolo. Dopodiché incolliamo i vari pezzi e li verniciamo". Luis aggiunge: "Ciò che facciamo in azienda si può considerare una sorta di artigianato moderno, non puntiamo alla produzione di massa per saturare il mercato, ma per offrire prodotti di eccellenza. Perciò ogni casco riceve l’attenzione maniacale di 170 artigiani moderni, che sono i nostri operai".

 

Di certo l’osservazione dell’arte manuale dei parenti ha accresciuto dentro di loro la capacità che gli anglosassoni definiscono “think out of the box”, pensare fuori dagli schemi.

 

Dimensioni, sagoma, rilievi del viso: tutto è misurato con precisione. L'interno del casco è realizzato con una metodologia che garantisce il massimo comfort ai piloti perché deve calzare come un guanto. "Io ho sviluppato e realizzato questa metodologia che ci permette di personalizzare l'interno per ogni cliente che volesse avere un casco su misura come quello dei piloti di F1. Il tutto – dice Martin - inizia con una scansione della testa del pilota che eseguiamo io, Luis e il nostro tecnico di gara, che segue tutti i piloti durante ogni gran premio. Luis invece sovrintende alla produzione in ogni passaggio e ascolta qualunque richiesta particolare dei piloti. Il casco non viene spedito se non è approvato da Luis. Questa metodologia è unica".

 

È il destino che ha tracciato la strada di Martin. "Mancava poco alla tesi, sostenni un esame dedicato ai materiali speciali che potevi combinare in modo differente così da ottenere un terzo materiale dalle caratteristiche completamente nuove. Davvero affascinante. Decisi che i materiali compositi sarebbero diventati il mio studio. Andai in Spagna a perfezionarmi al Politecnico di Madrid, tra i migliori al mondo in questo settore. Nel contempo seguii un master sull’argomento organizzato dall’Airbus. A stretto giro, ricevetti una mail da Stephan Cohen, ceo di Bell e mi disse che stavano cercando un ingegnere da inserire nel gruppo. Ci incontrammo per il colloquio e mi assunse. Dopo sei mesi proposi l’assunzione di mio fratello conoscendone le capacità di ingegnere di produzione". Dopo 14 mesi Martin è diventato capo staff e si occupa delle metodologie di produzione che danno luogo alla ricerca e allo sviluppo dei prodotti. Il lavoro di Luis comincia dove finisce quello del fratello, cioè ottimizzare e migliorare i processi di produzione, acquisire i materiali più conformi e raggiungere gli obiettivi richiesti dall’azienda.

 

Dietro al frenetico e rigoroso lavoro di 170 persone c’è infatti la sicurezza dei piloti e delle migliaia di clienti che acquistano i caschi da ogni angolo del mondo.

 

Molto spesso si pensa che il casco sia un accessorio ornamentale o solo un sistema protettivo. In gara si raggiungono velocità di 370 chilometri orari con decelerazioni in frenata superiori a 6,5 di forza g, vale a dire più di 6 volte l'accelerazione gravitazionale terrestre, sottoposta alla quale una persona non preparata potrebbe svenire. Un pilota che insegue sopporta una temperatura nell’abitacolo fino a 50 gradi centigradi con un livello di stress crescente, il tutto per 90 lunghissimi minuti. Considerando che l'unica parte del corpo esposta è la testa, si capisce perché il prodotto debba essere di qualità assoluta. Per questo i piloti pretendono una protezione confortevole, con ottima areazione ed estremamente stabile ai flussi aerodinamici. Inoltre, la sicurezza del casco aumenta dal momento in cui l'interno viene progettato con il corpo del pilota in perfetta posizione. Un casco scomodo abbassa l'attenzione e il rendimento del pilota e in F1 sono i centesimi di secondo che fanno la differenza sul risultato finale.

  

Con i piloti gli incontri sono frequenti e servono appena per capire cosa migliorare dei caschi, ma non mancano momenti confidenziali: "Lando Norris – dice Martin – è un tipo simpatico e ti parla come se ti conoscesse da una vita, Giovinazzi è sempre sorridente. Ho conosciuto da poco l’ultimo arrivato in casa Bell, Sergio Perez che ha cominciato a sfottermi per il mio spagnolo. Luis invece si tiene stretto un ricordo: «Ho incontrato il padre di Correa, pilota di Formula 2, alla fine del suo giro in fabbrica mi ha stretto la mano e mi ha ringraziato. Poi mi ha detto che poteva tornare a casa e dire a sua moglie che Juan Manuel è in buone mani".

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