Luka Modric (foto LaPresse)

Secondo Luka (Modric)

Maurizio Crippa

Il giusto Pallone d’oro al giocatore del Real Madrid, il piccolo Cruijff croato che possiede il radar e il colpo degli dèi

Con i piedi potrebbe scrivere anche un vangelo, basta vedere come sa usare l’esterno destro, che è il colpo degli dèi. Il doppio passo e il colpo di tacco si possono imparare, o sono genio di natura, ma accarezzare il pallone con l’esterno destro significa partecipare a una geometria divina, alla superiore razionalità dell’universo. E del campo di calcio. E’ un colpo che spetta a pochi, era il colpo migliore di Cruijff. Non per niente quando era più giovane, alla Dinamo Zagabria, lo chiamavano il piccolo Cruijff. E non solo per quel fisico in apparenza gracile, per quella faccia cavallina, il naso aquilino e gli sfilacci chiari dei capelli disordinati che li rendono fratelli alla lontana. Ma perché molto, di Cruijff, ricorda nel modo di scartare di lato, quei dribbling cesellati ma senza esibizione – una pura necessità delle leggi fisiche del calcio – e soprattutto quell’essere sempre in ogni parte del campo senza l’apparente sforzo del correre. Come teletrasportato dall’intelligenza costante del tutto. La teoria del tutto, il vangelo secondo Luka.

  

Potrebbe scriverlo coi piedi, il suo vangelo, perché a differenza di quel che dice un vecchio adagio da giornalisti, secondo cui la grazia divina colpisce solo una volta un calciatore, e se tocca nei piedi è difficile lo faccia anche nella zucca, Luka Modric ćè un uomo con ogni evidenza intelligente. Più taciturno del suo quasi archetipo olandese, e meno altero, di una modestia non affettata. Del resto esiste un calcio prima di Cruijff e dopo Cruijff, non ne esisterà uno prima e dopo Modric. Ma, se è per questo: neppure prima e dopo CR7, o Messi, o Mbappé.

  

 

Quando qualche mese fa ha vinto il Best Men’s Player FIFA 2018, con gran dispetto infantile CR7 non si era presentato alla cerimonia. Lui per prima cosa si congratulò con Cristiano e con Salah, è questione di conoscere le misure del mondo, e del mondo del calcio. Fece anche piangere di commozione Boban, ricordando che era stato il capitano della Croazia che per la prima volta nella storia si era presentata, da nazione libera, a un Mondiale, Francia 1998, e arrivò terza. “E’ stato la mia più grande ispirazione e quella squadra ci ha fatto credere di poter raggiungere grandi risultati in Russia. La speranza è di essere ora noi di ispirazione per la prossima generazione”.

 

La Croazia, sì. Fuori dal campo, non è mai stato un personaggio. Non ha tatuaggi. Ma c’è la Croazia, quell’amor di patria senza più odio che è suo, e della sua generazione: la generazione nata nella guerra dei Balcani. Un racconto che non ripete spesso, ma ce l’ha sempre negli occhi. Aveva sei anni nel 1991 quando la soldataglia dell’autoproclamata Repubblica Serba di Krajina arrivò tra le montagne del suo paese di contadini, poche case a una manciata di chilometri da Zara. Erano rimasti i vecchi e i bambini. La soldataglia vide suo nonno, aveva un fucile perché stava andando a caccia. Lo uccisero sotto i suoi occhi. Si chiamava Luka anche lui. Il resto è la storia in grigio della famiglia rifugiata in un hotel di Zara, del bambino gracile e tutto solo e tutto il tempo col pallone, nel cortile. Finché qualcuno si accorge di quel ragazzino che accarezza il pallone come un dio e ha il senso della posizione di un radar, un Gps prima che esistessero i Gps.

 

Poi c’è la storia del calciatore che è diventato, di tutto quello che ha vinto, della Nazionale portata da capitano alla finale di Mosca. E c’è il suo calcio modernissimo, sapere sempre dove essere e cosa fare, e farlo non per sé ma per la squadra. Lo stesso dono che lo accomuna a Pirlo, a Iniesta, a Xavi. Quelli capaci di passare attraverso la materia, la materia bruta degli avversari, invisibili alla giuria di France Football. Luka invece lo hanno visto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"