Xherdan Shaqiri con la maglia del Liverpool (foto LaPresse)

Le ferite dei Balcani non sono ancora rimarginate. E Shaqiri resta a casa

Emmanuele Michela

Al Mondiale l'attaccante di origini kosovare esultò dopo la rete contro la Serbia componendo con le mani un simbolo del nazionalismo albanese. La cosa non è piaciuta a Belgrado, Klopp ha deciso di non convocarlo per Stella Rossa-Liverpool 

Quando, nel 2011, la Svizzera arrivò seconda all’Europeo di calcio U21, non furono pochi quelli che elogiarono l’essenza multietnica della formazione elvetica: c’erano ragazzi dai cognomi italiani, nomi chiaramente tedeschi, qualche giovane di colore e una sfilza di calciatori di origine balcanica. Una squadra oggettivamente forte, che sapeva tenere insieme talenti di ogni longitudine, promettendo alla nazionale rossocrociata un futuro di successi che a dire il vero sette anni dopo è ancora tutto da farsi. Di quel gruppo Xherdan Shaqiri - nato in terra balcanica da famiglia kosovara ma cresciuto in un paese a pochi chilometri da Basilea - era sicuramente il più talentuoso assieme a Granit Xhaka, figlio pure lui di genitori fuggiti a inizio anni Novanta da Pristina. Oltre che campioni furono indicati come ottimo esempio di integrazione: giocavano bene e vincevano, non avevano paura di indossare la maglia di una nazione che era diventata la loro solo per adozione, né intendevano tenere nascosto il legame con quella terra da cui i genitori erano dovuti fuggire.

 

Fa una certa impressione rileggere, oggi, quanto si scriveva su Shaqiri nel 2011, ovunque indicato come un po’ più di un semplice giocatore: “ambasciatore”, “Maradona del Kosovo”. Eppure, proprio oggi, il ragazzo deve rimanere a casa dalla trasferta del suo Liverpool a Belgrado (domani, 6 novembre, giocherà con la Stella Rossa in Champions), perché non è sicuro per lui andare in Serbia e il suo allenatore Jurgen Klopp non vuole distrazioni.

 

Il motivo è fin troppo noto ed è legato a quest’estate quando la nazionale svizzera batté ai Mondiali la Serbia, nazione che non riconosce l’indipendenza del Kosovo proclamata nel 2008. A segnare le reti decisive furono proprio loro, Xhaka e Shaqiri, che non si fecero problemi a mostrare a tutti la loro identità, componendo con le mani, a mo’ di esultanza, il simbolo di un’aquila. Un gesto che rimandava al nazionalismo albanese e non è piaciuto tanto agli avversari serbi quanto alla Fifa, che sempre preferisce un calcio privo di eccessive connotazioni politiche. E se Shaqiri tentò di restare sul vago con le spiegazioni, Xhaka invece parlò chiaramente: “È una vittoria per la mia famiglia, per la Svizzera, l’Albania e il Kosovo. L’esultanza è per tutti quelli che mi hanno sostenuto, non era rivolta ai nostri avversari”.

 

 

Qualcosa si ruppe, quel giorno, tra la Svizzera, Shaqiri e Xhaka, messi al muro da parte della stampa e della politica per aver mostrato bruscamente le loro origini. La gara di Champions tra Stella Rossa e Liverpool riporta alla luce quell’episodio, facendo vedere come nell’Europa del calcio vi siano stelle che brillano ma pure qualche ferita mai rimarginata. E se la Fifa, una volta incassata la sua multa, ha dimenticato in fretta, il pubblico di Belgrado ancora non ha mandato giù l’affronto di pochi mesi fa. Klopp lo ha capito e vuole evitare strascichi, per questo ha invitato il ragazzo - che nei giorni scorsi si era detto pronto a giocare a Belgrado - a rimanere in Inghilterra. “Abbiamo sentito speculazioni e parlato a lungo sul tipo di accoglienza che Shaq potrebbe ricevere - ha spiegato -. E sebbene non abbiamo idea di ciò che potrà accadere, vogliamo andare là ed essere concentrati al 100% sul calcio. Siamo il Liverpool, una grande squadra, un club di calcio e non abbiamo altro messaggio se non questo. Per questo motivo, Shaq non sarà impegnato nella trasferta, ha capito e accettato la decisione. È un nostro giocatore, lo amiamo e giocherà per noi diverse volte. Ma non martedì”.