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Vincere non è l'unica cosa che conta. Il calcio secondo Las Vegas

Emmanuele Michela

Gli scarsi risultati sportivi dei Las Vegas Lights che continuano a far parlare di sé per le loro trovate. L'ultima: lanciare 5.000 dollari sui tifosi che seguiranno la prossima partita allo stadio

Era la seconda città al mondo per grandezza a non avere una squadra di calcio, ma Las Vegas non poteva colmare questa mancanza in una maniera banale. Lì dove tutto è intrattenimento, soldi e vizi, da ormai un anno i Las Vegas Lights sono diventati un club che fa parlare di sé più per le trovate originali che per i risultati. L’ultima andrà in scena il prossimo 8 settembre quando un elicottero sorvolerà il Cashman Field (lo stadio locale) “bombardando” il pubblico con 5mila dollari, che 200 fortunati tifosi scelti potranno raccogliere direttamente dal campo a fine primo tempo. Un’idea per portare più gente allo stadio? Forse, anche se in realtà per essere al suo primo anno di vita il club non conta pochi supporters. Si viaggia sui 7-8mila biglietti venduti a partita, non pochi per una lega, l’United Soccer League, che rispetto alla ben più nota Major Soccer League, conta piazze molto meno accese (d’altronde a comporla ci sono diverse formazioni riserve di grandi squadre della MSL, come LA Galaxy o New York Red Bull). 

 

 

Ma l’essenza del Lights Fc sta tutta nella sua stessa bizzarria. A partire dal logo, che richiama le mitiche luci del divertimento della città del Nevada, per continuare con le maglie dai colori sgargianti (e con uno smile stampato sotto, per rendere più originali le esultanze “alla Ravanelli”), e ancora le due mascotte, i lama (in carne e ossa) Dolly e Dotty, mostrati con orgoglio nelle foto di rito di inizio gara. Fino alle più impensabili sponsorizzazioni: quella con un rivenditore di marijuana tra i più noti della zona, ma pure con un casinò che ha promesso 100 dollari in fiches a ogni calciatore in campo in caso di vittoria superiore al 3-0. Ogni partita è uno show, con tanto di dj che intrattiene i calciatori negli spogliatoi. "Non c’è nessuno a Las Vegas che si vergogni di Las Vegas", dice con orgoglio il presidente del club Brett Lashbrook, che il Guardian ha intervistato per conoscere più da vicino la sua strana squadra di calcio. "Io sono un grande sostenitore del fatto che lo sport sia anche intrattenimento. Las Vegas è aperta 24/7, veloce, sexy, sfarzosa, un po’ pacchiana, e un po' kitsch. E a noi sta bene così. Abbiamo trovato il modo di avere una spavalderia che non riesci a trovare in nessuna altra città americana". 

 

Sarà, intanto la classifica piange, con la squadra quart’ultima in classifica. Chi poteva farla volare è quel Freddy Adu che 15 anni fa, appena adolescente, veniva dipinto come il “nuovo Pelè” e diventava il più giovane calciatore a firmare un contratto da professionista negli Stati Uniti. Poche sono state però le sue presenze e i gol anche a Las Vegas, dove è arrivato in cerca dell’ennesimo sussulto che rendesse valida la sua pallida carriera. Pensare che qui, quarant’anni fa, era arrivato addirittura Eusébio. Il portoghese era nella fase calante della sua carriera e soffriva pure di un malanno al ginocchio che rese tutt’altro che mitica la sua avventura americana ai Las Vegas Quicksilvers. Da qui, invece, poche settimane fa si vociferò che avrebbe iniziato la sua vita calcistica Usain Bolt, che poi ha preferito l’Australia.

 

Grandi nomi a parte, resta l’entusiasmo della gente che segue il Lights Fc allo stadio, in un’America sempre più innamorata per il soccer. "Portando il calcio a Las Vegas ci siamo aperti alla possibilità di avere allo stadio per 20 dollari, in un sabato sera, tanto la mamma della periferia in minivan quanto l’hipster millennial del centro città, fino alla famiglia della working class del nord", racconta Lashbrook. "Ognuno può stare spalla a spalla ed esultare per una squadra che porta il nome di Las Vegas sulle maglie". E che schiera in campo una gran quantità di calciatori ispanici. È questa un’altra delle singolarità del club, tanto da richiedere un allenatore bilingue per poter tenere assieme talenti americani (solo 4 sono i ragazzi nati a Las Vegas) e messicani (più di 10 quelli nella rosa del club). "Fin dal primo giorno non ho voluto assecondare un pubblico ispanico, bensì includerlo - conclude il presidente - Il calcio sa fare cose che altri sport non riescono a fare". 

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