Claudio Lotito con la Supercoppa italiana (foto LaPresse)

Come risalire la china, anche dal fondo di un crac finanziario. Parla Lotito

Salvatore Merlo

Il tifo della curva come il sindacato di base dell’Atac, come i tassisti violenti, i procuratori come gli ambulanti. La versione del presidente della Lazio su come passare dal disastro ai trofei

Roma. La città, Roma, come la Lazio, la squadra di calcio, che stava fallendo ma è stata risanata, rilanciata. Quando Claudio Lotito l’ha acquisita, nel 2004, la Lazio era tecnicamente fallita, “86,5 milioni di perdite e 550 milioni di debiti”, dice lui, il presidente. L’esposizione finanziaria, dopo il crac di Sergio Cragnotti e della Cirio, era da far tremare le vene e i polsi, la squadra era in balìa d’una curva violenta che s’immischiava degli affari societari, un po’ come certi sindacati di base del trasporto pubblico locale, o altre minoranze organizzatissime, come i bancarellari, tengono in ostaggio le amministrazioni comunali di Roma. Oggi la Lazio ha vinto due coppe Italia, due supercoppe italiane, contro la Roma, contro l’Inter di Mourinho, contro la super Juve. E’ la quarta squadra italiana per titoli vinti: quattro coppe su nove finali, una qualificazione alla Champions, una ai playoff, sei partecipazioni all’Europa League… “e quest’anno chiuderemo con trenta milioni di utile”, dice Lotito, lui che ha scardinato gli interessi semi-illegali della tifoseria, ha annichilito il potere contrattuale dei procuratori, e sfidando una permanente impopolarità, compreso il nomignolo di Lotirchio, ha riportato in utile la squadra: “Avere il consenso è facile”, dice, “basta assecondare i desideri della gente. Ma così non cambi nulla. Contrastare certe consuetudini, sfidare le disfunzioni fa bene… Quando l’ho presa, la Lazio perdeva 56 milioni, oggi ne guadagna 30. E’ una società stabile. Sta in piedi da sola”. E Roma, la capitale fallita, con i suoi 9 miliardi di debiti finanziari, i suoi 3 miliardi di debiti privati? “Roma non ha bisogno di un politico, ma di un buon amministratore. Uno che faccia parlare di sé attraverso i fatti”.

 

E certo una città non è una squadra di calcio, ma chi amministra una squadra di calcio, come il sindaco di una città, “fa i conti con le contestazioni e la popolarità”. Il tifo della curva come il sindacato di base dell’Atac, come i tassisti violenti, i procuratori come gli ambulanti. “Facevano gli scioperi, c’era lo stadio vuoto”, racconta Lotito. “I procuratori mi minacciavano dicendo che non avrebbero fatto giocare i loro calciatori. Pretendevano di scegliere loro dove andare, in che squadra, e a quale prezzo. Io a questi gli ho fatto una guerra alla morte. E come? Rivolgendomi alle istituzioni e facendo valere i miei diritti. Ai tifosi ho detto: siete i benvenuti, avete una funzione importantissima, ma non potete essere un potere, determinante sulla società. L’estorsione è un fatto vigliacco, non si può usare la pressione mediatica, fisica e psicologica, per ottenere dei vantaggi personali”.

 

E Lotito ha preso molti fischi, “perché ho eliminato prebende, privilegi, sprechi… Tanti. Ho stilato un piano di ristrutturazione a breve termine, poi un elenco di priorità e urgenze. Avevo 550 milioni di debiti. Potevo coprire il debito. Ma avrei risolto il problema solo temporaneamente, perché la società perdeva soldi ogni anno. Allora per prima cosa ho rimesso in equilibrio i conti. Uno può anche mangiare pane e cipolla e sopravvivere. Poi, dopo, puoi migliorare la dieta. In tre mesi ho eliminato la perdita di esercizio. A quel punto ho ristrutturato il debito”, un accordo con il fisco, una ratealizzazione in 23 anni, “e ho anche capitalizzato il marchio Lazio”. Si può ricominciare, anche dal fondo di un crac finanziario. “Ma il problema oggi è la competenza”, dice Lotito. Che si abbandona a una citazione delle sue: “Nessuno ricorda l’oracolo di Delfi. ‘Conosci te stesso’. Nessuno dice a se stesso: tu cosa sai fare? Qual è la tua competenza? Qua tutti si improvvisano. E i risultati so’ questi…”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.