Allenamento della Nazionale nei giorni scorsi al centro tecnico di Coverciano. Chiellini, a sinistra nella foto, si è infortunato ed è tornato a casa (foto LaPresse)

La guerra di Spagna

Beppe Di Corrado

Stasera a Madrid incontro decisivo per la qualificazione degli azzurri ai Mondiali di Russia 2018. Contro un avversario ormai storico

Non è normale che la Federcalcio spagnola abbia messo in vendita dei biglietti della partita con l’Italia a dieci euro. Dieci euro per Spagna-Italia al Santiago Bernabeu. Dieci euro per Spagna-Italia al Santiago Bernabeu e partita decisiva per le qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018. Non è normale e chi ha messo piede almeno una volta in quello stadio lo sa: neanche le amichevoli pre stagione hanno prezzi così bassi. Vogliono lo stadio pieno, cosa che probabilmente con le tariffe ordinarie non accadrebbe.

 

Ottantacinquemilaquattrocentocinquantaquattro posti, è lo stadio più importante d’Europa dopo Wembley, compie settant’anni il 14 dicembre e per noi resterà sempre quello del Mundial ’82. Però ora non c’entra. O forse c’entra per opposto, perché quella fu Italia-Germania che per l’opinione pubblica italiana è la rivalità più importante, più bella, più forte. Vero, soprattutto perché vince (quasi) sempre l’Italia: Messico ’70, Spagna ’82, Germania 2006, Ucraina & Polonia 2012. Ogni snodo fondamentale del nostro calcio è passato per una vittoria coi tedeschi, accompagnata sempre dalla considerazione geosociale della nostra diversità, della nostra capacità di fregarli in campo quando loro ci umiliano a Bruxelles, Strasburgo e Francoforte, ovvero le cattedrali della politica e della politica economia europea. Italia-Spagna però sta lì, stessa dignità di duello di Italia-Germania, con l’amara considerazione che da un certo punto in poi, ovvero dopo i Mondiali di Stati Uniti 1994, ha cominciato a non andarci più molto bene. Poi l’anno scorso, all’Europeo di Francia, l’Italia ha vinto ed è cambiato il clima. Comunque per stare ai numeri Spagna-Italia è stata giocata 39 volte: 13 vittorie dell’Italia, 12 della Spagna, 14 pareggi. E’ uno degli incroci più ricorrenti del nostro calcio (con la Germania per esempio le sfide sono state 36), e non si contano quante volte sono stati i duelli giovanili. E questo non è un dettaglio, anzi. Perché le partite delle Nazionali under hanno generato uno spirito di competizione che non è eclatante all’apparenza come quello coi tedeschi, ma in realtà è più forte. L’ultimo confronto è stato nella semifinale dell’Europeo Under 21, qualche mese fa: hanno vinto gli spagnoli 3-1 in una partita bella, tosta, affascinante, fisica, tecnica. C’era tutto. Perché c’è sempre tutto. Perché è Nazionali e club: a Cardiff, per esempio, alla finale di Champions League era ancora Spagna-Italia (Real-Juve). A Berlino, nel 2015, era ancora Spagna (Catalogna, ok, ma sempre Spagna è, fino a prova contraria) contro Italia: Barcellona-Juventus.

 

Con 39 sfide, è uno degli incroci più ricorrenti del nostro calcio, e non si contano quante volte sono stati i duelli giovanili

Ci va spesso male, appunto. Il che spinge i giornali a fare sempre un sacco di considerazioni non esclusivamente sportive. Subito prima della finale di Champions le considerazioni del confronto erano più o meno queste: l’economia spagnola dopo nove anni è tornata ai livelli pre crisi, la nostra fatica a rialzarsi, con un pil in crescita ma sempre lontano dalla media dei paesi dell’Eurozona. In campo, la Nazionale di calcio spagnola è in fase di ricostruzione dopo il ciclo chiuso proprio dagli azzurri agli europei in Francia. Guardando alla storia delle partite, il buco nero italiano è la clamorosa sconfitta della finale europea di Kiev del 2012, che consegnò alla leggenda gli spagnoli: finì 4-0, con Iker Casillas che negli ultimi 5 minuti ordinò ai suoi di non affondare più per rispetto nei confronti di Buffon e degli italiani. L’anno scorso in Francia ci siamo tolti i ricordi di quell’incubo con Chiellini e Pellé, con la più bella partita degli ultimi tre anni della storia della Nazionale, con l‘esaltazione di Conte, con la beffa e il contrappasso che poi a buttarci fuori è stata la Germania che invece eravamo abituati a battere sempre. Quella partita è rimasta dentro. Ce la portiamo a Madrid, con la convinzione che sia stata comunque l’inizio di qualcosa per noi. E’ l’unico caso in cui un precedente così non viene esaltato più di altri. Perché il punto più alto azzurro fu molto tempo fa: 7-1 ai Giochi di Amsterdam 1928 con il gol di Levratto che sfondò la rete con il pallone, dicono le cronache di allora. La verità è che non c’è stato un Italia-Spagna che non abbia raccontato almeno una cosa importante, bella o brutta che fosse. Uno dei grandi protagonisti di questa rivalità è il divo Zamora (portiere del secolo secondo l’Iffhs) che partecipa a 9 delle 12 sfide tra il 1920 e il 1934. Alle Olimpiadi del 1920 di Anversa Zamora rifilò un cazzotto a un giocatore italiano e fu espulso. Nella semifinale mondiale di Firenze del ’34 Italia e Spagna chiudono 1-1 con pari di Ferrari e fallo non rilevato di Schiavio sul portiere che fa miracoli per 90’. Era Zamora che però il giorno dopo, nella ripetizione della gara, non c’era. Vinse l’Italia tra le polemiche con un gol di Meazza: l’assenza del portiere non fu mai chiarita, s’è sempre parlato di pressione politico-diplomatica del regime fascista per far vincere l’Italia. Che poi si prese anche la Coppa.

  

E’ una rivalità strana. Ci rispettiamo. Per praticamente tutto il Novecento non c’è mai stata partita. Perché la storia della Spagna è quella di una Nazionale tradizionalmente perdente per oltre 40 anni (dopo il successo continentale nel 1964), nonostante ottimi giocatori in rosa. Ma la storia della Spagna cambia improvvisamente in una notte, proprio contro l’Italia: è il 22 giugno 2008, all’Ernst Happel Stadion di Vienna, gli azzurri portano gli spagnoli ai rigori nei quarti. Deve calciare Di Natale: piattone quasi centrale facile per il portiere Casillas. L’Italia è campione del mondo in carica, in panchina c’è Donadoni. Ha appena fatto una partita impeccabile. Quel rigore chiude la mini era azzurra. E apre quella rossa: la Roja vincerà quell’Europeo, poi il Mondiale 2010 e ancora l’Europeo 2012. Per loro finisce tutto a Brasile 2014, dove si interrompe il dominio spagnolo, rimasto invece incontrastato a livello di club. La generazione d’oro delle Furie Rosse riesce in quello che l’Olanda degli anni 70 aveva solo sfiorato: vincere e farlo con un’idea di gioco che si sposa perfettamente con i talenti a disposizione. Uno stile di gioco passato alla storia come tiqui-taca ed entrato in profondità nella cultura calcistica del paese, tanto da essere adottato anche dalle categorie giovanili e risultando anche lì vincente.E’ diverso da quello del Barça di quegli anni, anche se ne è in qualche modo figlio. E’ meno ossessivo, più compassato, più furbo. Tutto nasce con il ct Aragones, che intuendo che la fragilità difensiva della sua squadra deriva dall’inferiorità fisica dei suoi giocatori, decide di spostare la sfida sul piano tecnico. E così nell’Europeo 2008 la Spagna diventa la più offensiva. Anche se poi con l’Italia la vittoria arriva solo ai rigori e in finale con la Germania decide il gol di Torres. Il successore Del Bosque perfeziona ed estremizza l’idea di Aragones, arrivando al calcio del possesso totale, dove i movimenti in campo non vengono studiati ma costruiti in corsa dalle letture dei giocatori. La rosa delle Furie Rosse è composta da una generazione di calciatori che raggiungerà la propria consacrazione nel Mondiale 2010, ma che forse affermerà la propria ideologia calcistica nell’Europeo 2012, quando Del Bosque schiera una formazione del tutto priva di punte vere, quelle che eravamo abituati a conoscere. Anche qui c’è qualcosa del Barcellona e di Messi, ma Del Bosque riesce nell’applicazione che prevede lì davanti Fabregas, che a differenza di Messi, non è un attaccante. Ci siamo anche noi, di mezzo. Lo sappiamo. E’ quella partita di Casillas che chiede di non infierire: 4-0. Una lezione di calcio mai presa prima e probabilmente neanche dopo. Eppure li avevamo già incontrati nel girone ed era finita 1-1 con un gol di Di Natale messo davanti al portiere da quella che forse è la seconda più bella giocata della carriera di quel genio di Pirlo (dopo l’assist a Grosso in Italia-Germania del 2006): lancio verticale di 40 metri dopo un dai e vai a centrocampo.

 

La grande rivalità a livello Under 21. Uno scontro di scuole, di idee, di sistemi di gioco. Il tutto si riversa sui club. L'analisi dell'Economist

Con la Spagna ha giocato anche l’ultima partita in Nazionale Roberto Baggio. Con la Spagna è stata l’ultima vittoria in Nazionale di Antonio Conte. Spesso giornalisticamente Spagna-Italia è definita corrida. Un po’ per comodità, un po’ perché spesso è finita male. Dopo il caso Zamora del 1920 si ricordano tutti la gomitata di Tassotti a Luis Enrique nel 1994. Ce ne sono altre che nessuno ricorda, invece. Una è la partita dei Giochi del Mediterraneo 2005. Finì con cinque italiani espulsi e la cronaca postuma di quel match fu questa: “Il duello rusticano del calcio tra Spagna e Italia ai Giochi del Mediterraneo sembra scoperchiare vecchi rancori e antiche rivalità. La rissa di mercoledì scorso allo stadio di El Ejido ha suscitato sorpresa, vergogna e irritazione da parte della Federazione, con tanto di scuse da parte della Figc. A distanza di due giorni, quasi a fari spenti, i vecchi rancori sono riemersi a sorpresa, quando ormai la polemica sembrava spenta. A gettare benzina sul fuoco è stato il tecnico spagnolo Juan Santisteban. ‘In cinquant’anni di calcio non ho mai visto una situazione simile. Gli italiani li conosco, sono dei provocatori’. E insiste: ‘Lo spettacolo cui abbiamo assistito è stato terribile. Sappiamo come sono gli italiani: quando vedono che non riescono a vincere cominciano a entrare duro e a prendersela con l’arbitro’. Nella guerra dei nervi è finito anche il basket per la direzione di gara dell’arbitro italiano Paolo Taurino, cui gli spagnoli hanno addossato la responsabilità dell’eliminazione in semifinale con la Grecia. La colpa del fischietto italiano sarebbe quella di aver frenato la rimonta per la possibile vittoria degli iberici ‘inventandosi’ un fallo tecnico nel momento decisivo della gara. Insomma come una sorta di ‘vendetta’ per quanto avvenuto nel calcio. Accuse pretestuose e anche poco credibili visto che la Spagna contro la Grecia non ha perso di uno o due punti ma di undici. Ma lo schiaffo che fa più male è quello da un tecnico anziano e navigato come Santisteban. ‘Noi entriamo duro? Veramente il primo giocatore espulso è stato il suo non il mio – replica il tecnico azzurro Pietro Ghedin – Le chiacchiere stanno a zero. Noi non siamo provocatori, la partita parla da sola. E’ inutile infangare tutto il calcio italiano. E mi sorprende che queste accuse vengano da uno come Santisteban’. Ai nuovi veleni del tecnico la Figc replica con un ‘no comment’, il Coni non raccoglie la provocazione. Ma la rivalità italo-spagnola rischia di avere un effetto domino”.

 

Ci va spesso male, il che spinge i giornali a fare sempre un sacco di considerazioni non esclusivamente sportive. Il buco nero di Kiev

Nessuno di quei ragazzi italiani ha fatto una grande carriera. Forse non è un caso. Resta che a livello giovanile la rivalità è incredibile. In Europa, a livello under 21 l’Italia ha vinto sette titoli e la Spagna quattro. Poi c’è il vuoto. E’ uno scontro di scuole, di idee, di sistemi di gioco. Qualcosa che più di altre rivalità scatena curiosità e riflessioni. Il tutto si riversa sui club ed è una cosa che non avviene con altri paesi: non esiste una rivalità con le squadre di club tedesche, non esiste con i club inglesi. Esiste con loro. Tappe storiche: il successo del Milan sul Barcellona nella finale di Coppa dei Campioni, l’impresa della Roma al Bernabeu nel periodo nero del Real che non riusciva a superare lo scoglio degli ottavi di Champions, le goleade del Milan e e dell’Inter sui Blancos e il Valencia fino al successo della Juve a Madrid nel 2015 e a quello con il Barcellona nei quarti della scorsa stagione dopo il ko juventino nella finale del 2015 a Berlino. Pensando solo alle finaliste di Cardiff, Juve e Real, sono state diciannove le sfide dirette con un bilancio quasi in parità nove successi madrileni, otto juventini e due pareggi (e due vittorie più pesanti quelle nelle due finali, ovvero Cardiff e Amsterdam nel 1998). E in totale un centinaio di confronti tra italiane e spagnole nelle Coppe. E’ come se non ci piacesse ammetterlo fino in fondo, ma sono loro i nostri nemici. Lo sono stati e lo saranno ancora. Poi non è come con quegli altri, d’accordo. Però va accettato. Poi s’è messo in mezzo anche l’Economist, tornato di recente sulla differenza socio-economiche tra i due paesi nella reazione alla crisi: “La Spagna si è ripresa meglio dalla crisi economica di quanto abbiano fatto Italia e Grecia: per ognuno degli ultimi tre anni l’economia spagnola è cresciuta di più del 3 per cento, il tasso di crescita più alto di tutti i grandi paesi che hanno l’euro come moneta, e ha creato circa 500 mila posti di lavoro in un anno. Secondo il ministro dell’Economia Luis de Guindos, il mese scorso il pil del paese ha superato i livelli precedenti la crisi iniziata nel 2009. Questi risultati si devono alle riforme strutturali del primo governo di Mariano Rajoy (2011-2016), introdotte nel 2012, quando la Spagna aveva chiesto un prestito di 100 miliardi di euro per salvare le proprie banche. Diversamente dall’Italia, dove le riforme del lavoro sono state esitanti”.

 

Il calcio non c’entra nulla. Eppure, come successo l’anno scorso in Francia, come successo quando Valentino Rossi si scannò con Jorge Lorenzo e Marc Marquez per il mondiale di MotoGp, entra tutto in ballo. Gli Ottantacinquemilaquattrocentocinquantaquattro paganti di oggi al Santiago Bernabeu non sono fini economisti, né analisti politici. Ma sanno che cos’è Italia-Spagna. Lo sanno soprattutto perché in ballo c’è un Mondiale e l’onore di arrivarci direttamente. Corrida o no.

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