Il difensore dell'Atalanta Matteo Caldara (foto LaPresse)

Il cerchio magico di Caldara e la spocchia di Pandev

Leo Lombardi

L'Atalanta vince anche a Napoli e continua nel suo campionato di alta classifica. E già nuovi giovani sono pronti per una maglia da titolare. A Genoa invece Pandev continua nel suo autolesionismo

Dal Napoli a Napoli, il cerchio si chiude. All'andata, contro il Napoli, Matteo Caldara aveva trovato la titolarità della maglia nell'Atalanta. Al ritorno, a Napoli, ha certificato l'eccellenza di una stagione che, per lui, non si spera irripetibile. Due reti che hanno seminato tantissimi dubbi in casa azzurra a pochi giorni dal ritorno della semifinale di Champions League contro il Real Madrid. Due reti che hanno lanciato l'Atalanta tra le grandi del campionato e mandato in orbita i suoi tifosi, accorsi in massa sabato notte all'aeroporto di Orio al Serio per accogliere trionfalmente i giocatori al rientro: neanche si fosse vinta una coppa in Europa. Il segnale, se ce ne fosse stato ancora bisogno, dell'identificazione totale tra una squadra e i suoi sostenitori, tra una squadra e una città quale è quello tra l'Atalanta e Bergamo. Al punto che la gente non dice “andiamo a vedere l'Atalanta” ma “andiamo all'Atalanta”, un frase che indica stadio-squadra-città come un'entità inscindibile. Un senso di appartenenza che si estende fino ai giocatori, soprattutto a quelli cresciuti dalla parti di Zingonia, la casa della prima squadra come delle giovanili nerazzurre. Qui i ragazzi crescono a fianco dei professionisti, per imparare da loro, per diventare come loro. Per indossare, un domani, la maglia dell'Atalanta. E' il cammino che ha fatto Caldara e con lui, quest'anno, Andrea Conti, Alberto Grassi e quel Roberto Gagliardini finito all'Inter a gennaio. Tutta gente nata tra il 1994 e il 1995, tutta gente pronta a dare qualcosa in più per la propria squadra. Un testimone che hanno preso da chi, in passato, aveva percorso questo cammino (Montolivo e Pazzini, per esempio) e pronti a trasmetterlo a chi verrà dopo (Melegoni e Bastoni, due 1999 che Gian Piero Gasperini ha già fatto debuttare). Perché il destino dell'Atalanta è questo: crescere giovani e venderli bene. Come Caldara, già acquistato dalla Juventus e lasciato in nerazzurro fino al 2018. Uno che sa difendere e che sulle cosiddette palle inattive si fa trovare pronto. Lo trovi sempre in un'area, che ci sia da annullare un avversario oppure che si debba andare a rete. E quest'anno sono già cinque i gol realizzati. Cifra ragguardevole per un difensore e che diventa ancor più ragguardevole per un esordiente. Anche in questo modo si spiega il quarto posto dell'Atalanta.

 

Non si spiega, invece, il testardo autolesionismo di Goran Pandev. Torniamo su di lui, dopo averne già parlato a fine settembre. Allora mise in difficoltà il Genoa contro il Pescara: con la squadra in dieci, per l'espulsione di Edenilson, non trovò di meglio che protestare a lungo con l'arbitro Irrati per un presunto torto, ottenendo in cambio il cartellino rosso. Undici contro nove, i rossoblù rischiarono seriamente di perdere. E questo atteggiamento compromise un rapporto già complicato con Ivan Juric. Domenica in panchina c'era Andrea Mandorlini, il nuovo allenatore al debutto. Sotto di una rete con il Bologna, il tecnico cerca in panchina la soluzione per arrivare al pareggio. Chiede a Pandev di entrare, ottiene in cambio uno sdegnoso rifiuto, come se fosse un oltraggio alla propria professionalità e alla propria storia giocare pochi minuti. Un problema che non si pone Olivier Ntcham, che scende in campo al 92' e che al 94' trova la rete (splendida, tra l'altro) per l'1-1. Con tanti saluti a Pandev, al suo atteggiamento spocchioso e alla sua incapacità di capire il momento storico. Come un D'Alema qualsiasi.

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