Blerim Dzemaili esulta dopo la doppietta di domenica al Torino (foto LaPresse)

Dzemaili incorna (ancora) il Toro, ma Donadoni già lo rimpiange

Leo Lombardi

Il centrocampista si trasforma in attaccante quando incontra i granata. Ma lo svizzero avrà vita breve al Bologna ed è già atteso al Montreal Impact. A Genoa, la parabola triste di Juric e Preziosi

Ci sono giocatori che si scoprono particolarmente ispirati quando incrociano un'avversaria ben definita. Provate a esclamare improvvisamente “Santillana!” e farete sobbalzare più di un tifoso dell'Inter, la cui mente correrà alle partite contro il Real Madrid, non ancora “galactico” ma ben centrato (come il suo centravanti) sui nerazzurri quando li incrociava in Europa. Allo stesso modo i sostenitori del Torino cancellerebbero più che volentieri Blerim Dzemaili dalle loro rotte. Lui non è attaccante, ma quando intercetta le maglie granata è come se lo diventasse: sei partite da avversario e cinque reti realizzate. Parliamo di uno che gioca centrocampista e che, alla sua nona stagione in Italia, ha segnato venticinque gol in tutto. Di questi, uno su cinque al Torino. E non in maniera banale, bensì sempre eclatante: tre quando giocava nel Napoli (fini 5-3 per gli ospiti in casa granata) e due oggi, che è al Bologna.

 

La doppietta che domenica ha certificato la crisi della squadra di Sinisa Mihajlovic, mai vincente nel 2017, campionato o Coppa Italia che sia. E che ha fatto trovare un abbozzo di sorriso al volto sempre tirato di Roberto Donadoni, tecnico che deve fare affidamento sulle energie alternative in attesa del risveglio degli attaccanti, o presunti tali, come l'indolente Mattia Destro oppure il nuovo arrivato Bruno Petkovic, acquistato dal Trapani ultimo in classifica in serie B. Nell'attesa, ecco la riscoperta di questo svizzero figlio del melting-pot contemporaneo, con sangue macedone e albanese nelle vene. Una caratteristica della Nazionale rossocrociata, ricca di nomi che tradiscono origini tutt'altro che confederali e che arriva ad avere tra le sue file un Granit Xhaka mentre il fratello maggiore Taulant gioca per l'Albania.

 

Dzemaili arriva in Italia nel 2008, pescato a Bolton proprio dal Torino. Una sola stagione in cui, se non scatta l'innamoramento reciproco (nessun gol e diversi pali, allora), scatta almeno la plusvalenza, marchio di fabbrica della presidenza Cairo. Quattro milioni per venderlo al Parma e un'esperienza complessiva come buon manovale del calcio anche nelle tre stagioni a Napoli. Uno di quei giocatori cui pensi quando non ci sono più, perché sono un affare per i tecnici e per le casse societarie. Lo sa il Genoa, che lo prende in prestito dal Galatasaray la passata stagione. Lo sa il Bologna, che invece lo tessera a titolo definitivo. Definitivo, ma per una sola annata. Perché nel contratto gli hanno fatto sottoscrivere l'impegno di raggiungere i Montreal Impact (l'altra società della famiglia Saputo) a fine campionato e per almeno un biennio, nel nome del calcio globalizzato. Donadoni non lo dice, ma lo rimpiange già adesso.

 

E il nome di Dzemaili viene utile per capire il momento attuale proprio del Genoa. Le vittorie contro Milan e Juventus avevano fatto gridare al miracolo e portato a individuare Ivan Juric come uno dei simboli del nuovo che avanza. Quattro sconfitte consecutive e un pareggio contro il non irresistibile Crotone hanno ricacciato indietro i rossoblù e posto il tecnico sul banco degli imputati. Domenica al Ferraris ci sono stati i primi malumori dei tifosi, uniti alle prime voci di possibili sostituti in panchina. Un film già visto, come il colloquio tecnico-presidente a fine gara in cui, ufficialmente, tutto si è chiarito. Un classico, di questi tempi, al Genoa. Perché sono i giorni del mercato invernale, quelli in cui Enrico Preziosi non sa resistere al tentativo di rimodellare una squadra già rivista in estate. Erano quelli più odiati da Gian Piero Gasperini quando allenava i rossoblù.

 

Oddio, anche all'Atalanta gli hanno venduto Gagliardini ma, perlomeno, il tecnico aveva già ampie alternative in casa. Quelle che, invece, avrebbe voluto avere Juric, che si è ritrovato di colpo senza il centravanti titolare (Pavoletti, finito al Napoli) e di uno degli elementi chiave del centrocampo (Rincon, passato alla Juventus). Alcuni giocatori gli sono arrivati ma sono da rilanciare (Cataldi e Pinilla), da scoprire (Morosini e Beghetto), da rimettere a nuovo (Taraabt). Ci vuole tempo, per farlo, un passaggio sempre complicato da comprendere per i nostri dirigenti. Per fortuna di Juric la classifica, almeno, ancora aiuta.