Teresa Almeida

Chi è l'atleta che ha asfaltato la dittatura del fisicamente corretto

Mario Sechi
Teresa Almeida salta corre e para tutto, e pesa cento chili. La portiera della squadra di pallamano dell’Angola è la fine della magrezza come sinonimo di scatto, il tramonto della performance associata alla dieta dei record, la crisi dei programmi che pianificano il sorso d’acqua e il corso del cibo.

C’è una donna alle Olimpiadi di Rio che muove molecole e atomi con velocità e leggerezza. C’è una donna che quando guizza come una saetta è massa, energia meccanica e cinetica. C’è una donna, a Rio, che splende milioni di volte più di Gisele Bundchen: si chiama Teresa Almeida, difende la porta della squadra di pallamano dell’Angola e pesa cento chili.
Le sue parate hanno dato la vittoria all’Angola contro la Romania. Un balzo felino qua, una presa impossibile là, un’uscita al volo, una respinta a terra, l’impresa che si materializza, come in una canzone di De Gregori dove il “pallone che sembrava stregato” non al piede ma alla mano “rimaneva incollato”.  Teresa Almeida è il canone inverso, la confutazione scientifica del pregiudizio, il rovesciamento dei paradigmi: il grasso non sarà uno scattista, ma sul brevissimo spazio la sua massa scintilla con esemplare rapidità e potenza. In un’epoca da Sani e Belli senza la Lambertucci, in un tempo zavorrato dai pesi e piegato sulla panca, con il pallino del fitness che trapana cervelli ricchi di flessioni e privi di riflessioni, Teresa è un miracolo, una speranza, un Essere in Gran Forma che dà un senso e un finalmente chiaro orizzonte agli sforzi di chi non ha nessuna intenzione di essere in forma.

 

Teresa Almeida è la fine della magrezza come sinonimo di scatto, il tramonto della performance associata alla dieta dei record, la crisi dei programmi che pianificano il sorso d’acqua e il corso del cibo, lo stop inesorabile allo smartwatch che conta i passi, le ore di sonno, il menù a tavola e sì, c’è anche questo, il sesso. Rassegnatevi, il tema non è l’amare e il piacere, la “duplice fiamma” accesa da uno splendido libro di Octavio Paz. L’unica cosa da bruciare sono le calorie. E poi, l’imprevisto è là, una saracinesca inesorabile sulla linea di porta dell’Angola. Teresa Almeida è la fine (im)possibile della sorveglianza salutista, l’apoteosi della massa fuori controllo. E’ un dono della storia, un colpo di cannone che abbatte le mura del castello di studi pensosi (e minacciosi) sull’èra dell’obeso. Salta-corre-para-tutto, Teresa, e allora c’è una di fuga, un sogno da Papillon anche in palestra, siamo senza dubbi in prossimità della liberazione, pronti a spezzare le nostre catene, è la ri-vo-lu-zio-ne.

 

Si può restare normali e vincere, è una notizia, senza perdere ore, giornate, settimane, anni, a correre verso il nulla, inseguendo un orizzonte fatto di un romanticismo troppo sudato per essere seducente, una corsa senza Orizzonti di Gloria. Teresa Almeida ha cambiato per sempre lo scenario del total body da design aeronautico, della donna che sembra Lara Croft in “Tomb Raider”, dell’uomo condannato a essere Tarzan senza Cita e soprattutto Jane. Entrambi, maschio e femmina, con quello sguardo da fiera affamata, da cronometro inastato come una baionetta, da giro di pista con il dragster, da folle corsa come in Mad Max. Basta Enervit e Gatorade, perché Teresa ha vinto, e noi ora possiamo anche allargarci e (forse) poi restringerci, perché lei c’è, il resto scompare, si diluisce in sogno nella spiaggia di Rio. E’ finito l’incubo del bicipite e del cigolìo del ginocchio, dai.

 

E’ come nel sogno di Thom Payne, il pubblicitario 44enne di New York protagonista della serie tv “Happyish”, a cui la sorte riserva la (s)fortuna di lavorare con due giovanissimi direttori creativi svedesi. Belli. Prestanti. L’ossessione diventa incubo, dialogo onirico e Thom conclude: “Per diventare così devi odiare te stesso”. Sì, è la risposta, con l’affilata nota a margine del palestrato che cita “la fatica di Sisifo, felice nella sua pur assurda esistenza” e addirittura il Camus che teorizza “l’uomo in rivolta” e non l’esito finale del suicidio. Siamo alle meditazioni filosofiche sul bilanciere e la macchina per scolpire i glutei. Più che palestrati, spostati. Cambiamo canale. Improvvisamente, nel sogno di una notte di piena estate, ecco una figura ovale di Botero, la rotondità di Goya, la straripante piena energetica di Teresa Almeida, portiere della squadra di pallamano dell’Angola. Non fiction, ma un’abbondante realtà olimpica. Quando si gioca la prossima partita?

 



 

Di più su questi argomenti: