Jamie Vardy è di Sheffield, come me. Quindi non dirò mai nulla di brutto su di lui (foto LaPresse)

Fossi in Ranieri mi darei una grattatina

Jack O'Malley
Nessuno più del tecnico romano sa che questo è il momento in cui il Leicester può perdere il campionato. L’immagine di Eto’o in versione recupero crediti è quasi più triste dell’ossessione dei giornalisti italiani per Francesco Totti (vero Federer?).

Leicester. Se fossi in lui, una grattatina me la darei (solo perché è italiano, io personalmente toccherei legno). Se fossi in lui  piangerei per la sfiga che cercano di tirargli addosso, non per la vittoria che avvicina il titolo storico e insperato. Ormai Claudio Ranieri vede la Premier League a tanto così, e non c’è persona al mondo che più di lui non sappia che questo è il momento del braccino (o del gambino, o del cazzetto, come volete), il momento in cui tutto può crollare, lo sprint in cui la paura può giocare scherzi cattivi, la sfortuna farsi viva sotto le spoglie di un avversario che nulla avrebbe più da chiedere alla stagione, e invece… Ripeto. Fossi in Ranieri una grattatina me la darei. Ormai è tutta una celebrazione, da Buffon agli avversari, ai media, a Hollywood: De Niro che fa la sua parte in un film su Vardy, la statua del manager nel centro della città, i nomi dei giocatori immortalati nelle vie, la lettera ai tifosi, le lacrime a fine partita, i complimenti di Buffon, quelli di Ferguson, le tabelle porta rogna (se vince due partite e il Tottenham ne perde due…). Bene fa Fabio Capello a ricordare che è ancora presto per festeggiare, che nulla è vinto (certo, la Champions è matematica, e a inizio stagione solo un ubriaco l’avrebbe prevista), che è adesso che si vedrà la tempra del Leicester. Il Tottenham è vivo. Lo si è visto domenica con quei tre gol allo United in meno di 6 minuti (ok, forse anche il Frosinone avrebbe battuto quello United…), se il Leicester si suicidasse e non vincesse il titolo sarebbe comunque una bella storia, molto commovente e molto istruttiva. Ma sai che bruciore, proprio là dietro?

 


Danielle Lloyd, promessa sposa di Jamie O’Hara, mentre segue una partita del Fulham con grande partecipazione e competenza dal divano di casa


 

E’ un peccato che Fernando Torres sia andato a disperdersi nei campionati minori di Italia e dell’originaria Spagna, è questo ciò che permettono qualità ed età – non si può essere Niño per sempre – ma mi compiaccio nel vedere che non ha mai perso quello spirito serafico e professionale che è un marchio quasi indelebile della Premier League. Adesso tutti parlano di rinascita di questo 32 enne che gioca, segna, mena, castiga, ma questa è la pasta del ragazzo sgobbone maturato alla severa scuola di Liverpool, quando il capello biondo e fluente sembrava suggerire estati iberiche, talenti passeggeri, psicologie fragili. E invece Torres ha continuato a lavorare, si è fatto il culo a strisce con la panchina e si è fatto il culo anche in senso più generale, trovando l’ennesima possibilità nella squadra dove tutto era cominciato, quell’Atletico che ha ancora mezzo turno di Champions contro il Barcellona per vedere come va a finire. Balotelli, che dopo mezza partita giocata bene si crede leader e che dalla scuola di Liverpool ha imparato poco oltre agli indirizzi delle discoteche, dovrebbe compulsare il manuale di Torres di tanto in tanto.

 

Vestito, da par suo, come uno strillone che all’angolo della strada grida “edizione straordinariaaa!”, Samuel Eto’o ha convocato una conferenza stampa minacciosa e surreale per spiegare al presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, che è pronto alla denuncia se il suo giovane protetto Fabrice Olinga non verrà risarcito dal club. La Samp aveva promesso di ingaggiare il ragazzo dell’accademia di Eto’o, ma poi lo aveva scaricato a una squadra minore rumena, la quale poi lo ha scaricato a una squadra minore belga, e lui ha visto stipendi a intermittenza, mentre il suo pupillo girovagava a caso fra la Russia e la Turchia, via Genova. Inquadrare  queste vicende di calcio piccolo e logoro nel contesto di qualche anno fa è un esperimento mentale che sembra fatto per suscitare amarezze cosmiche: Eto’o vinceva Champions League una via l’altra, il mondo osannava e si contendeva il leone del Camerun; poi c’è stata la senescenza improvvisa fatta di squadre impronunciabili e stipendi inimmaginabili, e infine il giovane protetto messo a contratto, i messaggi simpatici e poi incazzati con Ferrero, l’immagine tristemente iconica di una conferenza stampa fatta a Milano per dirimere questioni genovesi che finisce, com’è inevitabile, nelle oleografie nostalgiche, con l’effige di Papà Moratti che riaffiora dalle nebbie del tempo, e il vecchio strillone in versione recupero crediti che vagheggia di una carriera da allenatore all’Inter o al Barcellona o a chi offre di più.


Il presidente turco Erdogan nel nuovo stadio del Besiktas prova una bomba da fuori


Ma perché il giornalista sportivo medio italiano non riesce a fare interviste sensate ai campioni stranieri? Ieri mattina mi hanno girato quella che sul Corriere della Sera Gaia Piccardi ha fatto a Roger Federer, campione di tennis oggi non più forte come un tempo ma ancora numero 3 al mondo. Hai davanti quello che per molti è il migliore di sempre e con cosa inizi l’intervista? Con una domanda su Totti. Il giornalismo sportivo italiano soffre di questa tragica malattia, la reductio ad Totti, per cui qualunque articolo deve avere in qualche modo un riferimento al Pupone, da tempo ormai entrato nel grande gruppo dei luoghi comuni italiani, tra la mozzarella, il mandolino, il parlare gesticolando e le intercettazioni sui giornali. La giornalista ci mette in mezzo pure Valentino Rossi e chiede se loro tre non debbano essere tutelati dal Wwf. Federer è una persona educata, ride, dice “la battuta è buona” (non sa che poi il titolista gli metterà in bocca questa cazzata, virgolettandogliela persino) e poi, con l’eleganza che lo ha reso leggendario, seppellisce il numero 10 della Roma così: “Totti vuole continuare? Ne ha il diritto. Anche quest’anno, se verrò a Roma, gli chiederò dritte sui ristoranti”. A France’, magna tranquillo.

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