Alessandro Florenzi (foto LaPresse)

Il futuro della Roma è ai piedi di Florenzi, quello del Napoli non sarà nelle mani di Gabriel

Leo Lombardi
Dopo aver archiviato “Capitan Passato” Francesco Totti e dopo aver messo in stand-by anche “Capitan Futuro” Daniele De Rossi, la fascia di capitano nell'ultimo derby è andata al giocatore cresciuto nel vivaio giallorosso che piace, perché ama facendosi riamare. Il portiere azzurro invece in venti minuti passa dalla gloria all'ignomia. E lo scudetto si avvicina sempre più alla Juve.

A Roma è (forse) giunto il momento di voltare pagina, di aggiornare la storia, di rivedere gli equilibri. Un passaggio che la società avrebbe voluto gestire con presunto spirito imprenditoriale stelle&strisce ma che invece avrà più che mai radici territoriali, perché passerà dai piedi di Alessandro Florenzi. Un calciatore indefinibile, come lo erano gli olandesi dell'appena pianto Johann Cruijff. Uno che non sai dove possa giocare che però, ovunque tu lo metta, sa fare il suo. Uno “universale”, come si amava dire un tempo. Uno di cui ti puoi fidare a occhi chiusi e che, passo dopo passo, fatica dopo fatica, è destinato a diventare il volto che verrà della Roma, dopo aver archiviato “Capitan Passato” Francesco Totti e dopo aver messo in stand-by anche “Capitan Futuro”, ovvero Daniele De Rossi. Nell'ultimo derby stravinto contro la Lazio la fascia è andata a lui, al romano e romanista, sposatosi con una ragazza che non avrebbe potuto conoscere in un altro posto che non fosse la Curva Sud. Come Totti è figlio di Porta Metronia, come Daniele De Rossi è figlio di Ostia, così Florenzi è figlio di Vitinia, cresciuto in un ambiente che non lo ha mai abbandonato, come lui non ha mai abbandonato amici e affetti di un tempo. Anche per questo Florenzi piace, perché ama facendosi riamare, perché si danna l'anima senza mai mollare, perché sa vincere senza eccedere, come invece capitava ai suoi predecessori. Dopo le quattro reti ai biancocelesti, non lo hai visto lasciarsi andare a gesti provocatori oppure a selfie beffardi. Dopo la rete con cui ha abbattuto una Lazio che cercava di rialzarsi, non si è lasciato cogliere da attacchi di simil-isteria. Solo una corsa sfrenata e liberatoria, come sua abitudine. Perché lui corre sempre, senza fermarsi mai. Lo faceva nelle giovanili della Roma, lo ha fatto a Crotone dove i giallorossi mandano i loro giocatori a svezzarsi (occhio a Federico Ricci, per esempio), lo fa da quando è tornato all'Olimpico. Attenzione, però. Non c'è solo corsa, ma ci sono anche capacità tattica (altrimenti non saprebbe ricoprire al meglio così tanti ruoli) e c'è pure tecnica. Come la rete alla Lazio, per l'appunto. Un tiro al volo dal limite eseguito senza esitazioni, con perfetto impatto sul pallone e altrettanto perfetto disegno della traiettoria. Un piccolo gioiello, come gioielli erano stati la rovesciata contro il Genoa e la conclusione da 50 metri contro il Barcellona. Gesti da lucida follia, gesti su cui progettare un nuovo futuro.

 

Un futuro che avrebbe potuto cominciare a costruire (e a costruirsi) Gabriel Vasconcelos Ferreira. In Brasile il mestiere di portiere non è tra i principali sogni di un bambino, le sconfitte sono passate alla storia più per gli errori di chi si trovava tra i pali che per gli sbagli di chi era deputato a segnare: Barbosa al Mondiale 1950 e Valdir Peres a quello 1982 sono l'alfa e l'omega di una storia intessuta di dannazione. Eppure c'è chi vuole farlo, come questo ragazzo che il Milan ha pescato nel Cruzeiro in una delle tante operazioni condotte senza credervi fino in fondo. A Gabriel non basta raccogliere applausi e successi con la Nazionale. Vince un Mondiale Under 20 e la medaglia d'argento all'Olimpiade di Londra, ma la porta rossonera resta quasi ermeticamente chiusa, frequentata per infortunio del titolare e non per convinzione di chi allena. Non lo aiuta neppure contribuire attivamente alla prima promozione in serie A del Carpi, impresa possibile grazie anche alle sue prestazioni. In estate Gabriel viene dato in prestito a Napoli, con la sola prospettiva di seguire dalla panchina quanto combina Pepe Reina, il titolare intoccabile. Questo fino al forfait dello spagnolo a Udine, l'occasione per svoltare. A Gabriel basta poco per passare dalla gloria all'ignominia, i minuti – grossomodo una ventina – che trascorrono dal rigore parato a Bruno Fernandes al pallone perso ridicolmente nella propria area e trasformato in un assist per il 2-1dello stesso Bruno Fernandes. Una magra figura personale che ha condotto alla disfatta generale del Napoli e (forse, di nuovo) alla conclusione anticipata del duello con la Juventus. E con un futuro che improvvisamente si riscopre azzerato.

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