Il gennaio da bulletto di Mancini e le montagne russe di Mihajlovic

Leo Lombardi
Brutto momento per l’allenatore nerazzurro. La litigata con Sarri, il dito medio ai tifosi del Milan, le arrabbiature in televisione, le accuse agli arbitri: tutti segnali di un malessere diffuso. Brutto momento da cui sta cercando di tirarsi fuori l'allenatore rossonero.

Un 2016 da bulletto, per Roberto Mancini. La litigata con Maurizio Sarri, il dito medio ai tifosi del Milan, le arrabbiature postpartita in televisione, le accuse assortite agli arbitri: tutti segnali di un malessere diffuso. Per un mercato ritenuto insoddisfacente, dopo i rivolgimenti estivi e il semi-immobilismo invernale, e per i risultati che non arrivano. La debacle nel derby ha sollevato il velo sui problemi in casa Inter. Nessuna novità, intendiamo, per una società che ha sempre offerto materia di lavoro al giornalismo, non soltanto sportivo, ma il 2015 aveva illuso un po' tutti, da Erick Thohir all'ultimo dei cuori nerazzurri. Insomma, quelli che pensavano di aver ritrovato una squadra in grado di contrastare degnamente lo strapotere juventino. Tutto bruciato nel giro di poche giornate del nuovo anno, con l'umiliazione del doppio 3-0 incassato dalle rivali di sempre: la Juventus in campo nazionale, il Milan in quello cittadino. E Mancini ci ha messo tantissimo di suo, giocando all'apprendista stregone. Imbarazzanti, a posteriori, le scelte di domenica sera per schema di gioco inedito e uomini ripescati inaspettatamente (vedi alla voce Santon). Situazioni in cui i rossoneri si sono gioiosamente infilati per l'umiliazione sulla pubblica piazza, con il rigore fallito di Mauro Icardi quale unico rimpianto cui aggrapparsi. Mancini ha avuto un barlume di lucidità quando, rispetto alle abitudini di altri colleghi, si è addossato le colpe liberando la squadra dalle responsabilità. Ma in futuro servirà anticipare i problemi piuttosto che spiegarli alla fine. Altrimenti l'Inter non uscirà dal proprio eterno equivoco.


Un equivoco da cui sta cercando di tirarsi fuori il Milan. O meglio, sta cercando di tirarsi fuori Sinisa Mihajlovic. La sua stagione si è rivelata finora un vorticoso viaggio sulle montagne russe, tra una squadra costruita in estate con le solite lacune, una dirigenza unita soltanto sulle divisioni (vedi alla voce Galliani-Barbara Berlusconi) e una presenza ingombrante sullo sfondo come quella di Silvio Berlusconi. Il serbo ha sempre viaggiato con la valigia pronta all'ingresso di casa, passando da un licenziamento certo all'abusata “ultima spiaggia”.

 

Il successo nel derby, sotto gli occhi sorridenti del tifoso numero uno, è la garanzia di poter godere di un minimo di tranquillità nei giorni che verranno. Forse qualcuno capirà che sarebbe pure utile consentirgli di lavorare con un minimo di tranquillità mediatica. Le parole e i gesti pubblici di stima da parte dei giocatori sono sotto gli occhi di tutti, un particolare che non si registrava a Milanello dai tempi di Carlo Ancelotti: si dovrebbe tenerne conto. Anche perché Antonio Conte, l'eterno prescelto, pare aver capito che in Premier League circolino più soldi e meno stress, pur se il Chelsea non è luogo di tutto riposo.


A dire il vero, oltre all'attuale ct ci sarebbe un altro allenatore che avrebbe fatto (molto) bene al Milan. Dopo aver dato un esempio, non solo calcistico, a Parma, Roberto Donadoni si sta ripetendo a Bologna. Squadra presa in corsa e un passo da grande: 23 punti in 12 partite che riportano il tecnico al centro dell'attenzione generale. Gli elogi sono unanimi, al punto tale da far sorgere il dubbio di ritrovarsi di fronte a un nuovo caso Francesco Guidolin, uno ritenuto sì bravo ma non così bravo da meritarsi una big. Certo, Donadoni ha avuto in mano la Nazionale, e con poca gloria per molti. Quei molti che dimenticano un quarto di finale all'Europeo perso ai rigori contro la Spagna che, da quel 2008, prese la spinta per diventare la numero uno al mondo. Osservazioni cui il tecnico ha risposto con l'abituale indifferenza, sua forza e sua debolezza al tempo stesso. Perché la sensazione è che, rispetto a molti colleghi, non sia stato in grado di coltivare i rapporti giusti per il salto di qualità. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui in passato, tra tanti possibili ex rossoneri da candidare alla panchina del Milan, non sia mai stato preso in considerazione quello forse più bravo. Ancelotti escluso.