L’Arsenal prima è come un elefante su un albero: non sai come ci sia arrivato, ma sai che prima o poi cadrà (foto LaPresse)

Il cuore è uno zingaro

Jack O'Malley
Con Ranieri e Guidolin che vincono, la Premier non è più quella di una volta. Per fortuna c’è la favola della piccola squadra in semifinale di Coppa Italia. Tra froci e zingari il calcio italiano sta diventando più litigioso di un Family Day.

Manchester. Oggi faccio una confessione che mai avrei pensato di fare. E’ vero, ho terminato il brandy e sono più sobrio del solito. Per questo la prossima settimana potrei ritrattare tutto. Un tempo gli allenatori italiani bolliti o un po’ passati di moda andavano ad allenare le Nazionali della Libia o del Ghana, oggi vengono in Premier League. E il dramma è che non solo siedono su una panchina del campionato più bello (e “more relax”, per citare Guidolin) del mondo, ma si permettono anche di vincere e persino di guidare – momentaneamente, mi auguro – il campionato. Ero sicuro che il Leicester di Claudio Ranieri si sarebbe sgonfiato, e invece è ancora lì, primo in solitaria, approfittando del solito suicidio dell’Arsenal di Wenger (un democristiano della panchina, ormai, come direbbe Sarri). Non sopporto più di tanto i preti, ecco perché speravo dentro di me in un esordio con sconfitta di don Francesco Guidolin, che invece ha battuto l’Everton alla prima con lo Swansea. E’ il sintomo che nepppure il calcio inglese è più lo stesso. Ma adesso che ho ritrovato il brandy e ci ripenso, ne sono certo: la Premier è talmente bella che sa far tornare vincenti anche i più bolliti. A patto che imparino l’inglese in fretta.   

 


Nataly Rincon, recente fiamma di Cristiano Ronaldo, cerca le chiavi dell’auto tra i sedili. Le sono scivolate dalla tasca mentre saliva a bordo per andare a fare la spesa


 

A volere guardare bene, poi, anche in Italia cominciate a vivere un po’ della magia così tipica del calcio inglese. Non c’è trofeo al mondo più affascinante della FA Cup, la coppa d’Inghilterra che permette a tutte le squadre di partecipare: è il torneo in cui i pronostici si ribaltano, in cui la squadra di terza divisione può sognare di battere la grande e giocare a Wembley. Dopo anni di squallido anonimato, con le solite quattro-cinque squadre di serie A a contendersi la finale, finalmente anche la Coppa Italia vivrà un momento di “favola”, come piace dire ai giornalisti sportivi più pigri. Una semifinale inedita, con una squadra che da anni non si affacciava più al calcio che conta, una squadra con una grande tradizione alle spalle che meritava di tornare a certi livelli. Persino la mia idiosincrasia verso il calcio italiano si toglie il cappello davanti alla semifinale di Coppa Italia di questa sera: il Milan che si gioca una finale dopo tanto tempo è una bella favola in questo spassionato e freddo calcio moderno. 

 

[**Video_box_2**]A volte, quando mi annoio, guardo le competizioni fra boscaioli, quelle in cui dei tizi con la barba e la camicia scozzese fanno a gara a chi taglia per primo sedici aceri con una sega circolare. Se in tv non danno nemmeno quelle, c’è sempre il calcio argentino, l’intrattenimento televisivo a basso costo che non tradisce mai. L’altro giorno c’era il derby fra Boca Juniors e River Plate, in uno di quei tornei amichevoli precampionato che in Argentina valgono quanto il campionato vero, e a pensarci bene una logica c’è. Soprassiedo sui fuochi artificiali all’ingresso e tutto l’insopportabile sceneggiato da b-movie del calcio europeo (Tevez sulla maglia ha scritto “Carlitos”: nemmeno alla Juve glielo lasciavano fare) e mi limito a osservare le cose che contano della partita: 5 espulsi, 10 ammoniti. Entrate a piedi uniti senza il minimo costrutto, falli a palla lontana, testate, e infine l’immancabile rissa sudamericana in cui tutta la panchina e pure qualche passante si gettano nella mischia. Vogliamo trovare un aspetto positivo in tutto questo trash? Nessuno si portava le mani alla bocca, nessuno è andato a lagnarsi a fine partita con i giornalisti, nessuno ci ha fatto la pippa moralistica su “in Inghilterra non vedrebbe più il campo”, eppure a occhio sono volate parole che fanno sembrare De Rossi un critico della poesia siciliana del Trecento e Sarri il maître di Cracco. Fra il tormentone del “frocio” dato a Mancini e concluso con il solito untuoso pasticcio di scuse e cortesie e lo “zingari di merda” di De Rossi, nel calcio italiano non si parla d’altro che dell’ovvio, cioè dell’insulto, anche greve e discriminatorio, verso l’avversario, un must sportivo che in Argentina praticano senza infingimenti. Boniek ha detto bene: certe cose scappano, non facciamola più discriminatoria di quel che è, ma il piano ormai è inclinato. Nel giro di qualche mese nei salotti italiani ci saranno linguisti che discutono se zingaro sia un insulto oppure solo un’indicazione etnica neutra (ma se Mandzukic “notoriamente” non lo è, che si fa? E’ solo insulto o discriminazione xenofoba?) e giuristi che interrogano Sarri in diretta sugli emendamenti al ddl Cirinnà. Forse ci saranno anche i rappresentanti dell’associazione degli scatologi, che difendono la merda dagli accostamenti offensivi con gli zingari. Nel frattempo in Argentina continueranno a insultarsi e a giocare a calcio male, suscitando in una certa misura la mia invidia.

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