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Il mondo al contrario della manovra 2026
I partiti di governo hanno lasciato le promesse elettorali nel cassetto e così il centrodestra è diventato il vero garante della tenuta dei conti pubblici nazionali. L’opposizione, spiazzata, reclama sussidi
Se dieci anni fa vi avessero detto che Meloni, da presidente del Consiglio, avrebbe firmato la più restrittiva politica economica dall’ingresso dell’Italia nell’euro, ci avreste creduto? E che un ministro della Lega avrebbe rivendicato la riduzione dello spread e il miglioramento del rating del paese? Un mondo al contrario rispetto al 2015, quando Meloni sosteneva che fosse necessario “liberarsi della zavorra dell’euro”, mentre Salvini nominava proprio consigliere economico Claudio Borghi, che senza risparmiarsi definiva la moneta unica “una camera a gas”.
La manovra di bilancio proposta dal governo per il 2026 è l’ennesima riprova per gli scettici: oggi è il centrodestra il vero garante della tenuta dei conti pubblici nazionali, e delle future generazioni che se ne dovranno far carico. Un enorme paradosso a rileggere il costosissimo programma elettorale con cui il centrodestra si è presentato alle elezioni: ma flat tax, abolizione della legge Fornero e pensioni minime a 1.000 euro sono rimaste nel cassetto, ed è ormai chiaro che non saranno mai realizzate. Meno di un ventesimo della manovra 2026 è infatti finanziato in deficit. Una quota minima rispetto a quanto accaduto fino all’anno scorso, quando buona parte degli interventi fu resa possibile da un indebitamento maggiore del previsto.
Non nascondiamoci: la responsabilità fiscale del centrodestra è anche una scelta obbligata. Il nuovo Patto di stabilità europeo impone il controllo della cosiddetta spesa netta, escludendo coperture temporanee e aumenti eccessivi del deficit. L’orizzonte temporale di sette anni peraltro traccia un percorso che non può essere modificato di volta in volta, come era invece scontato in passato. Un rafforzato vincolo esterno che obbliga finalmente la politica a compiere le proprie scelte: aumentare le entrate o tagliare le uscite, senza l’exit strategy del maggiore indebitamento. La maggioranza sarà poi giudicata sulla base delle scelte fatte, come accade in ogni sistema politico liberale e fondato sull’alternanza di governo. Altro fattore che ha reso più agevoli le sessioni di bilancio è stato certamente l’imponente drenaggio fiscale causato dall’inflazione. Un maggiore gettito per lo stato che ha finanziato la quasi totalità dei tagli contributivi e fiscali di cui si è fregiato il governo Meloni, nonostante l’aumento della pressione fiscale. La minore frenesia di ricerca del consenso immediato si spiega anche con la solidità della maggioranza che sostiene Giorgia Meloni, il cui esecutivo è già il terzo più longevo della storia repubblicana. A dimostrazione della necessità di maggioranze stabili per l’efficiente funzionamento della democrazia parlamentare.
Allo stesso modo, anche l’opposizione ha subito una metamorfosi e cambiato la propria parte in commedia. Il Partito democratico si limita ormai ad attaccare il governo per il mancato rispetto delle promesse elettorali, piuttosto che rallegrarsi del fatto che non abbiano mai visto la luce. Il Pd ha indirizzato le proprie critiche alla maggioranza per non aver sterilizzato l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Un meccanismo sacrosanto che tutela chi oggi le pensioni le paga con i propri contributi, e che il Partito democratico votò nel 2012 e ha sempre confermato quando era in maggioranza (aumento di tre mesi nel 2013, di quattro nel 2016 e di cinque nel 2019). Il centrosinistra si è persino intestato l’assurda battaglia per confermare gli ennesimi sussidi agli ex dipendenti Alitalia non assorbiti da Ita Airways: dopo quattro anni dall’ultimo volo, piloti e assistenti di volo hanno ricevuto poco meno di 800 milioni di euro tra cassa integrazione e Naspi. Un trattamento di maggior favore rispetto ai dipendenti licenziati da tutte le altre compagnie aeree, pagato dai passeggeri e dalla fiscalità generale. Il deputato Anthony Barbagallo, capogruppo Pd in commissione trasporti, li ha definiti “lavoratori dimenticati” e ha criticato il governo per voler “cancellare un pezzo di storia” del trasporto aereo italiano. Il Pd ritiene evidentemente di potersi permettere oggi questo ruolo, dopo tanti anni di responsabilità obbligata dai ruoli di governo. Ma senza una politica economica seria e credibile non potrà risultare una convincente alternativa alla maggioranza attuale. Il Partito democratico somiglia sempre più al vecchio Pds: non il Partito democratico della sinistra, nato nel 1991 dalle ceneri del Pci, bensì il Partito Dei Sussidi.