Foto Ansa

soundcheck

I migranti che servono alle imprese in cerca di lavoratori sono già in Italia

Lorenzo Borga

Con il decreto Flussi i datori di lavoro devono contattare direttamente i potenziali candidati in Burkina Faso o in Tunisia, Ma basterebbe dare l’opportunità di lavorare alle 133 mila persone già sbarcate nel nostro paese. Tutti i paradossi delle regole attuali

Il governo sceglie a parole la linea dura sui migranti. Prima l’estensione a 18 mesi del periodo massimo di detenzione nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), poi la richiesta di una fideiussione bancaria di quasi 5.000 euro per non esservi trattenuto. Una strategia che tuttavia nei fatti non ha pagato in passato, e che difficilmente otterrà qualche risultato concreto in futuro. Per di più in un momento in cui il nostro paese ha un bisogno pressante di persone che possano soddisfare le richieste di lavoratori da parte delle imprese. Finalmente nel dibattito pubblico italiano ha prevalso l’obiettività: oggi tutti – governo e opposizioni – sono consapevoli della necessità di vie di immigrazione legali per far entrare i lavoratori necessari. Fino a pochi anni fa una parte significativa della politica ancora rifiutava la possibilità che gli stranieri potessero occupare posti di lavoro “che gli italiani non vogliono più”. Nel luglio scorso quegli stessi partiti hanno firmato un decreto “Flussi” che ha raddoppiato le quote di cittadini extracomunitari che potranno entrare in Italia nei prossimi tre anni, ammettendo che ne servirebbero altri 400 mila in più per soddisfare le richieste dei datori di lavoro. Una decisione che colpevolmente la sinistra non ha mai avuto il coraggio di prendere negli anni al potere.

Alla luce di questa rivelazione, non ci si spiega il motivo per cui i partiti al governo non facciano l’ovvio passo ulteriore: dare l’opportunità di lavorare a chi è già arrivato nel nostro paese. A oggi purtroppo non esistono ancora – per l’indolenza di tutti gli ultimi governi italiani, oltre che per le enormi difficoltà politiche e logistiche poste dal confronto con i paesi di provenienza a transito – vie legali efficienti di immigrazione in Italia. Nell’attesa che il Parlamento decida come aprirle, modificando l’assurdo obbligo per i datori di lavoro di assumere persone che non conoscono a migliaia di chilometri di distanza, i 133 mila migranti sbarcati nel nostro paese potrebbero rappresentare la soluzione. D’altronde il governo ha permesso l’ingresso in Italia tramite il decreto Flussi di 136 mila persone quest’anno. Paradossalmente lo stesso numero. Queste persone tuttavia non possono lavorare. Alcuni di loro scompariranno nel nulla, nel tentativo di emigrare verso altri paesi europei. Altri faranno richiesta d’asilo, entreranno nel sistema dell’accoglienza che nella maggior parte dei casi non prevede seri percorsi di inserimento lavorativo, al più offre qualche lezione di italiano. Solo dopo sei mesi avrebbero la possibilità di firmare un contratto, se ne hanno intenzione. Ma se la domanda d’asilo viene rifiutata, come accade nella maggior parte dei casi, diventano irregolari e ricevono l’ordine di allontanarsi dall’Italia. Ovviamente visto il numero minimo di rimpatri – che coinvolge solo uno su dieci di chi riceve l’ordine di espulsione – in realtà rimangono in Italia illegalmente, con le uniche possibilità di sostentamento offerte dal lavoro nero o dalla malavita.

Ma i paradossi non sono finiti. Tutti sono a conoscenza che le famose quote del decreto Flussi altro non sono che una regolarizzazione mascherata. Le regole attuali prevedrebbero che i datori di lavoro alla ricerca di personale contattino direttamente un potenziale candidato in Burkina Faso o in Tunisia e facciano domanda per il suo ingresso in Italia. Ovviamente in realtà queste persone si trovano già sul suolo italiano, dove lavorano illegalmente (perché altro non possono fare) presso le stesse imprese che ne richiedono la regolarizzazione.

Permettere a chi sbarca in Italia di trovarsi un impiego dunque snellirebbe un processo che in realtà è già previsto e ridurrebbe sofferenze umane (principalmente) e spese (lateralmente). Così si potrebbe finalmente togliere dal tavolo l’ipocrisia della politica, che oggi si nasconde dietro la burocrazia.

Di più su questi argomenti: