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Antisemitismo da tastiera. Cronaca di un odio che non si nasconde più

Daniela Santus

A margine di un articolo sulle insicurezze degli ebrei italiani ecco il coro di commenti, l’ondata di ostilità che li considera stranieri nella propria terra, che li invita esplicitamente ad andarsene. La storia

Chi mai si sarebbe aspettato che la “critica al governo Netanyahu” e la retorica del “non odio gli ebrei, ma odio i sionisti perché rubano le terre ai palestinesi” sarebbe naufragata così velocemente, per lasciar posto alla realtà: noi italiani, brava gente, ci siamo risvegliati nuovamente antisemiti e tutto quello che ci interessa è che gli ebrei si levino dalle palle. Per lo meno questo è quanto si evince dai numerosissimi commenti a un articolo di Tgcom24 comparso su Facebook e relativo al fatto che gli ebrei italiani non si sentono al sicuro in Italia. I commenti che seguono sono pubblici, presenti sulla pagina Facebook di Tgcom24; tuttavia si è scelto di modificare i nomi per tutela della privacy dei leoni da tastiera, pur documentando un fenomeno preoccupante che merita attenzione pubblica. Non si tratta di pochi commenti isolati o di provocazioni marginali: è un coro compatto, un’ondata di ostilità che attraversa trasversalmente diverse fasce della popolazione, accomunate da un unico sentimento di rigetto. Quello che emerge è un antisemitismo classico, quasi ottocentesco nelle sue formulazioni, che attribuisce agli ebrei italiani la responsabilità collettiva per le azioni del governo israeliano, che li considera stranieri nella propria terra, che li invita esplicitamente ad andarsene. Cominciamo con Simone, che senza mezzi termini scrive: “Io non li reputo italiani, di noi non hanno nulla sotto l’aspetto umano, basta vedere quello che combinano a Gaza e in Cisgiordania, oltretutto si mettono anche il nodo scorsoio, quello che gli succede è la giusta conseguenza del loro comportamento”. Una frase che racchiude in sé tutti gli elementi dell’antisemitismo classico: la negazione della cittadinanza (“non li reputo italiani”), la disumanizzazione (“di noi non hanno nulla sotto l’aspetto umano”), la responsabilità collettiva (il “loro comportamento” che giustifica “quello che gli succede”). Non si parla del governo israeliano, non si critica una specifica politica: si nega l’umanità degli ebrei in quanto tali. E tutti concordano sulla responsabilità collettiva degli ebrei. Maria aggiunge che ormai “il bonus olocausto è scaduto”, una frase che merita una riflessione particolare. L’idea che la Shoah abbia garantito agli ebrei una sorta di immunità temporanea dalle critiche è un classico tropo antisemita: riduce lo sterminio di sei milioni di persone a una carta da giocare, a un “bonus” appunto e ne decreta cinicamente la scadenza. Come se la memoria di un genocidio dovesse avere una data di scadenza, oltre la quale si può tornare liberamente a odiare. Rosario ritiene che “con i massacri che hanno fatto è abbastanza prevedibile che ci saranno ritorsioni” e Maria Stella conclude: “Ovunque andate avete nemici… fateve ’na domanda e rispondeteve da soli”. Quest’ultima affermazione è particolarmente rivelatrice: capovolge causa ed effetto, suggerendo che l’antisemitismo sia una conseguenza naturale e giustificata del comportamento degli ebrei stessi. E’ la classica logica del “se la sono cercata”, applicata a un intero popolo attraverso i millenni.

 


Giovanna è convinta. E pensando agli ebrei italiani, rincara la dose: “In realtà non ci fa piacere avere i sionisti intorno, soprattutto quando vogliono fare i padroni in casa d’altri. Ma nonostante questo, noi non sputiamo addosso ad essi e non li aggrediamo fisicamente e verbalmente, come invece accade a qualsiasi CRISTIANO, o turista cristiano che approda da loro. Siete dei miserabili”. Inutile provare a spiegare a Giovanna che le sue sono solo fantasie antisemite, costruite su falsità facilmente verificabili. Israele è uno dei paesi del medio oriente dove i cristiani godono di maggiori libertà religiose, dove le comunità cristiane sono protette e rispettate, dove i luoghi santi cristiani sono accessibili e tutelati, dove le feste possono svolgersi senza impedimenti. Anzi, coinvolgono tutti. Ma la realtà poco importa quando si tratta di alimentare l’odio: basta inventare persecuzioni immaginarie per giustificare il proprio disprezzo. Il riferimento ai “sionisti che vogliono fare i padroni in casa d’altri” applicato agli ebrei italiani è particolarmente grottesco: si tratta di famiglie che vivono in Italia da generazioni, spesso da prima dell’Unità d’Italia, che hanno contribuito alla costruzione della nazione, che hanno dato al paese scienziati, artisti, imprenditori, intellettuali. Eppure vengono percepiti come ospiti indesiderati, stranieri che “vogliono fare i padroni” nella loro stessa casa. Poi c’è chi è convinto, come Ylenia, che tutti gli ebrei italiani siano cittadini d’Israele: “Con passaporto israeliano fate gli eletti, i superiori, spazi che solo voi potete frequentare, e mo siete diventati italiani… ma va va, per quanto mi riguarda siete degli inferiori”. La confusione tra ebreo e israeliano, tra identità religiosa e nazionale, è uno dei pilastri di questo nuovo antisemitismo. Non si distingue più tra un ebreo italiano che vive a Roma da generazioni e un cittadino israeliano. Tutti vengono amalgamati in un’unica categoria ostile, tutti sono ritenuti responsabili, tutti devono rispondere delle azioni di un governo straniero. L’accusa di sentirsi “superiori” è anch’essa un classico dell’antisemitismo: il concetto di “popolo eletto”, che nella teologia ebraica indica semplicemente un popolo scelto per portare la Torah al mondo (con tutti i doveri che ne conseguono), viene distorto e trasformato in una presunta pretesa di superiorità razziale. E l’affermazione di Ylenia (“per quanto mi riguarda siete degli inferiori”) rivela il vero substrato dell’odio: una competizione immaginaria per stabilire chi sia superiore e chi inferiore, una logica razziale che non ammette semplicemente l’uguaglianza umana.

 


Franco, invece, la butta sul geografico e profetico: “Hanno ampliato i loro confini con violenza e crudeltà, ma saranno costretti a marcirci all’interno… Sono riusciti a farsi odiare anche da coloro che fino a pochi anni fa, non avrebbero mai pensato di avere simili sentimenti negativi nei loro confronti. Questo è solo l’inizio…”. L’espressione “saranno costretti a marcirci all’interno” ha una qualità quasi escatologica, profetica. Non si limita a criticare una politica, ma evoca una sorta di giustizia cosmica, una punizione inevitabile. E l’implicita ammissione di essere tra “coloro che fino a pochi anni fa non avrebbero mai pensato di avere simili sentimenti negativi” è involontariamente rivelatrice: l’antisemitismo era latente, aspettava solo l’occasione giusta per manifestarsi. Gli eventi in medio oriente non hanno creato questo odio, lo hanno semplicemente sdoganato. E Paolo, evidentemente convinto che più di sei milioni di palestinesi (gli abitanti della Striscia e della Cisgiordania) siano stati uccisi o deportati, suggerisce agli ebrei italiani: “E chi vi trattiene, adesso avete la striscia di Gaza e la Cisgiordania tutta per voi, potete iniziare a costruire case e palazzi sopra i cadaveri ancora sotto le macerie”. L’invito è esplicito: andatevene. La retorica dell’espulsione, che attraversa la storia europea da secoli, torna in forme appena velate. Non importa che gli ebrei italiani siano italiani a tutti gli effetti, non importa che abbiano qui le loro case, le loro famiglie, le loro vite: devono andarsene. La loro fede e la loro stessa esistenza sono sgradite. Anche Brando invita gli ebrei italiani a emigrare: “Israele è il paese più sicuro al mondo, ve lo consiglio: biglietto sola andata. Avete voluto una nazione, ora perché non ci vanno?”. Il “biglietto di sola andata” è un’espressione che risuona in modo particolarmente sinistro nella storia europea. Stiamo parlando di cittadini italiani, punto. Ma nell’immaginario antisemita, ogni ebreo è visto come un agente di Israele, un potenziale traditore, uno straniero che aspetta solo di andarsene. A chi mette in guardia dal suggerire agli ebrei italiani di diventare sionisti, la signora Piera rende evidenti le sue confusioni: “Ma che vuol dire sionisti, vanno in Israele mica in Palestina… Poi se una volta arrivati vogliono quello che non gli appartiene…”. La confusione concettuale è totale: Piera non distingue tra Israele e i territori contesi, non comprende cosa significhi sionismo (il movimento per la creazione di uno stato ebraico, obiettivo raggiunto nel 1948) e, soprattutto, non capisce che sta parlando di ebrei italiani che non hanno alcuna intenzione di andare da nessuna parte perché sono già a casa loro. Mentre Maria Sole scrive: “Povere vittime. Andatevene pure negli Stati Uniti. L’unico stato che vi accoglierà a braccia aperte, basta continuare a comprare tutto il Congresso come avete sempre fatto”. E qui entra in gioco un altro classico dell’antisemitismo: la teoria del complotto del potere ebraico, in questo caso nella forma del controllo della politica americana. E’ la vecchia leggenda dei “Protocolli dei Savi di Sion” riadattata ai nostri giorni, l’idea di una cabala ebraica che controlla i governi del mondo.

 


I commenti sono tutti un coro: che se ne vadano. Il problema, per gli italiani che commentano, sono i circa 30 mila ebrei italiani. E’ un numero piccolo, una comunità minuscola nel tessuto nazionale, eppure genera un’ostilità sproporzionata, viscerale. Meglio se la passano i circa 3 milioni di musulmani, cui non viene chiesto di andarsene nonostante i governi di molti paesi islamici (pensiamo all’Iran, alla Siria, all’Afghanistan, allo Yemen per non citare che i più noti) non siano esempi brillanti di democrazia e rispetto dei diritti umani. Nessuno chiede ai musulmani in Italia di rispondere dei crimini dei Talebani o del regime iraniano o del perché molti supportino Hamas. Nessuno suggerisce loro il “biglietto di sola andata”, anzi si fanno manifestazioni oceaniche contro le espulsioni. Pensiamo al caso dell’imam di Torino. La responsabilità collettiva, a quanto pare, si applica selettivamente. Quello che emerge da questi commenti è un fenomeno preoccupante: l’antisemitismo in Italia non è più costretto a nascondersi dietro eufemismi o distinzioni sofisticate. La maschera dell’antisionismo è caduta. Non si tratta più di criticare il governo israeliano o di solidarizzare con i palestinesi: si tratta di negare agli ebrei italiani il diritto di sentirsi al sicuro nel proprio paese, di considerarli stranieri, di invocare la loro espulsione. Lo dice chiaramente Antonio: “E’ molto triste che il governo italiano li tuteli”. Siamo di fronte a un salto qualitativo che dovrebbe allarmare chiunque abbia a cuore i valori democratici e il rispetto della dignità umana. Chiamare l’antisemitismo con il suo nome è un dovere civile e morale. Solo così possiamo sperare di costruire una società in cui nessuno debba sentirsi straniero in casa propria, in cui nessuno debba temere per la propria sicurezza a causa della propria identità. Gli ebrei italiani sono italiani. Incredibilmente sono italiani persino i leoni da tastiera che vomitano odio e ignoranza sui social. Si potrebbe però trarre un insegnamento da tanto livore: l’identità italiana è importante e la sua base è la lingua. Chi scrive riempiendo le sue frasi di errori di grammatica e sintassi dovrebbe fare le valigie e trasferirsi nella più vicina scuola primaria per ricominciare daccapo a costruire la propria italianità, che passa innanzitutto per grammatica e ortografia.

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