John William Waterhouse, Eco e Narciso, 1903, olio su tela, cm 109 x 189, Walker Art Gallery, Liverpool
Turbonarcisismo
Esseri umani ipersensibili, egoriferiti e prepotenti. Ecco il prodotto del nostro tempo
Un viaggio nella metamorfosi quotidiana che ci ha trasformati in creature impazienti, fragili e insieme spietate, incapaci di reggere l’attesa e perfino il silenzio
Fine del millenovecento, l’ultimo mondo. Non mi ricordo quasi più niente dell’èra prima dei social, ci hanno catapultati avanti di quattro o cinque generazioni, ci hanno cambiato i connotati, ci hanno detto “fate voi” e abbiamo fatto tutto male. Che siamo proprio un altro tipo di essere umano me ne accorgo almeno una volta al giorno, e a volte la doccia è più fredda di altre. La scorsa settimana chiunque di tutti quelli che (non) conosco sui social scriveva il suo parere su un provvedimento del tribunale dei minori de L’Aquila per una relazione degli assistenti sociali su una famiglia che viveva nel bosco. E prendevano posizione – netti, sicuri – diventando nervosi. Le persone con le loro opinioni non si divertono più, si surriscaldano. Io faccio anche peggio. Quattro giorni fa ero nervosa perché la mia assistente artificiale, l’Intelligenza al servizio d’esternalizzazione email, ha pensato più di due minuti per restituirmi il lavoro che le avevo chiesto. Due minuti non posso più aspettarli? E allora certi scemi che non telefonavano? Li ho aspettati per mesi interi – chi era quella, allora? Sempre io? E dov’è finita tutta la pazienza?
Il peggiore individuo possibile fino a poco tempo fa era un superficiale, un megalomane aggressivo. Anni di cialtroni qualunquisti, di inadeguatezza morbida. Al massimo dell’espressione diventavi un personaggio di Vanzina, di Muccino, una caricatura. La miseria umana non aveva ancora scoperto le notifiche. Poi arrivò il narcisista, e tutti cominciammo a prenderci sul serio. Così dicono gli antropologi.
“L’attrazione semantica inizia alla fine degli anni Settanta, quando il sociologo americano Christopher Lasch (due anni dopo che il giornalista Tom Wolfe aveva infilzato quell’epoca nella formula The Me Decade, il decennio dell’Io) dà alle stampe un best-seller che si intitola "La cultura del narcisismo". Al tempo non c’erano i selfie, ma Lasch inizia a intuire che ‘la gente risponde agli altri come se le proprie azioni fossero registrate e trasmesse simultaneamente a un pubblico invisibile oppure riposte per essere minuziosamente esaminate in seguito’. Il tema del ‘pubblico invisibile’ compare in uno dei più sofisticati sistemi diagnostici oggi in uso, la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP), che fornisce al clinico un elenco di criteri che lo guidano nell’inquadramento della personalità del paziente. Uno di questi criteri, rilevante per la descrizione dello stile narcisistico, dice: “Tende a trattare gli altri come un pubblico che deve testimoniare la sua importanza, il suo ingegno, la sua bellezza”. (Vittorio Lingiardi, "Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo", Einaudi 2021).
Poteva peggiorare, questo individuo già parecchio bacato? Pare di sì. Nell’anno del signore duemilaventicinque non siamo solo centrati sull’io, ma pure prepotenti e di fretta. La diagnosi accurata è che all’Io gigantesco di Lasch si è sostituito un io ancora più stronzo perché minuscolo e frantumato, che non tollera né l’attesa né l’incertezza. Per non parlare del contrasto. Diversity in azienda sì, ma con la diversity dell’opinione devi morire. Manie di importanza e vertebre di gelatina. Il capitalismo emotivo ci ha resi insieme ipersensibili e deregolati, convinti che pure i sentimenti debbano funzionare come servizi. La felicità non è più una cosa fragile fatta di mezze ore casuali e benedette, è una procedura. Devo-essere-felice. Gli psicologi mi raccontano tutti la stessa cosa: che il cliente si siede e ha una sola domanda: “Allora, dottore, quando mi fai sentire meglio?”. Le frustrazioni non sono la principale collezione della vita di tutti, sono un’anomalia di sistema. Puoi pagare e annullare, refresh di programma e hai fatto. Il risultato è una società di bipolarismi difficili perfino da credere, perché sulla carta sarebbero implausibili: siamo persone delicate e imperiose. Vulnerabili e permalose e però durissime con gli altri. Il dubbio ci uccide invece di sollevarci. Anche il silenzio ora te lo rivendono come aggressione passiva. Che fai, mi ghosti? Mostro! E dall’altra parte c’è solo un poverocristo che sta cercando il modo meno bruto per dirti: non mi garbi, lascia perdere. La gente dice di volere le verità dritte in faccia, poi però si rivelano paccheri e ci rimane male. E’ il trionfo dell’esoso moderato: l’Übermensch è morto pure come aspirazione e al suo posto ci siamo noi, mediocri con manie di accelerazione che però non sanno la strada. Qua la domanda non è più “chi vogliamo essere”, ma “quanta manutenzione servirà per continuare a stare come stiamo”.