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i dati
Come salvarsi dal Grand Hotel? I problemi dell'Italia visti dal Censis
Il nuovo rapporto e la necessità di una "politica ibrida che non abbia visioni astratte del futuro e si tenga vicina alle dinamiche sociali di rigenerazione interna”
L’età selvaggia, il grande debito, la febbre del ceto medio, i barbari alle porte, il lungo autunno industriale: un Censis così pessimista ai limiti dell’apocalittico non ce l’aspettavamo. Davvero viviamo in tempi bui quando “chi ride la cattiva notizia atroce non l’ha ancora ricevuta”, come scriveva Bertolt Brecht. Ma il Censis è pur sempre il Censis e dopo questa doccia ghiacciata torna il pensatoio che ha sempre ascoltato le vibrazioni della società con l’orecchio incollato al terreno. “Gli italiani non sono tipi da prendere alloggio nelle confortevoli stanze del Grand Hotel Abisso, dove sperperare gli ultimi averi prima che scocchi la mezzanotte, sporgendosi deliziati e inconsapevoli, con le bende agli occhi, sull’orlo del baratro, mentre ci si allieta con piaceri sfrenati e pasti goduti negli agi, finché non sopraggiungano le tenebre. Certamente no, visto che sono impegnati a districarsi con sagacia e misura tra piccole cicatrici e grandi minacce”. Così scrive il rapporto presentato al Cnel dal segretario generale Giorgio De Rita e dal direttore generale Massimiliano Valerii. Questa capacità di resistere e adattarsi la società civile non l’ha perduta anche se deve vivere “in tempi bui”.
Il 72,1 per cento degli italiani pensa che ormai la gente non crede più ai partiti, ai leader politici, al Parlamento. Il 53,5 per cento dichiara di non sentirsi rappresentato da nessun partito o leader politico. Il 62,9 per cento è convinto che “nella nostra società si sia spento ogni sogno collettivo intorno al quale tutti si possano ritrovare, tale da rappresentare un orizzonte di riferimento condiviso”. L’unico leader con una proiezione globale che conquista la fiducia della maggioranza assoluta degli italiani (il 60,7 per cento) è Papa Leone XIV. Assistiamo a una sorta di ribaltamento dei ruoli nel tradizionale rapporto tra élite e popolo. “Da una parte vediamo i volti sgomenti dei leader europei − il nostro nuovo pantheon politico −, dagli sguardi desolati e impietriti, come pugili suonati, sotto i colpi sferrati da est e da ovest. Dall’altra parte ci sono gli italiani, per i quali non è scattato l’allarme rosso: l’apocalisse può attendere”. Il 47,0 per cento dei cittadini pensa che le divisioni politiche e la violenza che si vedono negli Stati Uniti sono impensabili nella nostra società. Ma l’ipotesi di un intervento militare dell’Italia nell’eventualità di un attacco sferrato contro un paese alleato, membro della Nato o dell’Ue, è disapprovata dal 42,7 per cento degli italiani. E due terzi ritengono che, se per riarmarsi l’Italia fosse obbligata a tagliare la spesa per il welfare, allora sarebbe meglio rinunciare al rafforzamento della Difesa.
Insomma, sfiducia nella politica e nell’élite (tendenza certo non nuova), disaffezione verso il modello americano rifiutato ormai dal 74 per cento del campione scelto dal Censis, ma nessuna voglia di rinunciare a quel che si è ottenuto lavorando e mugugnando, arrotolandosi le maniche e imprecando, quando piove, contro il governo ladro. Può sembrare egoismo sociale o il rifugiarsi nel guicciardiniano particulare, e certo lo è, tuttavia se serve a tenere i barbari fuori dalle porte ben venga. Quest’anno il Censis lancia l’antidoto del sesso “liberato da antiche censure” e più in generale la ricerca del piacere come difesa dalle nuove minacce: quasi due terzi degli italiani tra i 18 e i 60 anni (il 62,5 per cento) hanno una vita sessuale molto intensa, contrassegnata da un ritmo settimanale. Tra i giovani con meno di 35 anni la percentuale è ancora più alta: il 72,4 per cento (tra loro solo il 6,4 per cento non fa mai sesso). E nessuna pratica è preclusa cominciando dai preliminari (il 78 per cento). L’italiano non emerge come maschio stupratore né le italiane come virago dominatrici. Anche questo smentisce il senso comune mediatico-politico.
Non vogliamo sfuggire alla giaculatoria; si può dire che il Censis vi indugia quest’anno quasi con voluttà declinista, ma non mente, le cose che non vanno sono molte e crescono di mese in mese. Il debito pubblico per il quale si paga più di quel che lo stato paga ogni anno per gli investimenti, la regressione demografica che sottrae risorse alla società del benessere basata sulla crescita, la stagnazione industriale che rischia di scivolare “nel gelido inverno della deindustrializzazione”, l’inflazione che ha creato una “divaricazione tra spesa e consumo”, un mercato del lavoro “senilizzato” dove gli anziani trovano un posto prima e meglio dei giovani. Tra le contraddizioni c’è anche l’atteggiamento sempre più negativo verso gli immigrati. Non possiamo farne a meno, non rubano lavoro, ma fanno quel che gli italiani in genere rifiutano, sono il 9,2 per cento della popolazione quindi non c’è nessuna “sostituzione etnica”, eppure il 63 per cento del campione statistico sostiene che l’ingresso vada limitato. Contraddittorio per eccellenza è anche il rapporto con la politica. Il Censis parla di “partecipazione senza delega”, anche se appena il 3,3 per cento dichiara di aver manifestato in piazza. I cortei pro Pal vanno dunque controcorrente. Nemmeno l’Unione europea riscalda i cuori, al contrario cresce la convinzione che sia impotente e alla fine rischia di diventare inutile, schiacciata com’è dalle opposte volontà di potenza.
La ricetta, se così vogliamo chiamarla, è in pieno spirito deritiano: “Una politica ibrida che non abbia visioni astratte del futuro e si tenga vicina alle dinamiche sociali di rigenerazione interna”. Consapevoli che “accanto alla politica vivono meccanismi profondamente radicati nella società che trova nei suoi processi storici stratificazioni successive delle istanze individuali da interpretare e accompagnare, che integrano nell’azione politica il faccia a faccia con il presente”. E’ il viatico del Censis per l’anno che verrà.
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