fila all'ingresso

Testori in slip e Raskolnikov in tuta, e poi la Zanzara: tutti a teatro

Michele Masneri

Se il cinema e l'editoria sono in crisi, il teatro sembra invece in grande spolvero. Da quello più popolare a quello più colto. E poi c'è l'Opera

Il cinema è in crisi? I libri non li vogliamo più vedere neanche dipinti? La tv fa numeri da prefisso telefonico (del nord)? Siamo stufi delle piattaforme che sfornano docuserie su temi urgenti e necessari che avevamo dimenticato (se li avevamo dimenticati, ci sarà un perché)? Contro il logorio dell’intrattenimento moderno, andiamo a teatro. Se i numeri degli incassi delle pellicole sgomentano, non si hanno ancora dati precisi sul teatro (il rapporto annuale della Siae arriva a luglio): il 2024 però era stato un anno positivo, ancora in scia alla ripresa per il Covid. E quello che è certo è che  chiunque si avventuri nei pressi di un teatro, di prosa o di lirica, prestigioso o negletto, troverà file più che ad Atreju. Il teatro anche come ultima spiaggia e nuova vita: per  gli scrittori in fuga da un settore che ormai vende pochissimo, i televisivi che soffrono l’Auditel crollato, gli storici dotati di  guizzo istrionico. 
 

Tutti corrono, tra gli applausi, su un palcoscenico. Ce n’è per ogni gusto: ormai non v’è teatro, dalla capitale all’ultimo stabile di provincia, dove non ci sia il suo “live”. A Roma al Brancaccio caro alle sorelle Meloni già si prepara Sigfrido Ranucci con il suo “Diario di un trapezista”, “la presentazione teatrale che racconta un Sigfrido segreto, parallelo a quello che siete abituati a vedere in onda, che per realizzare le inchieste ha dovuto fare delle scelte, anche in pochi secondi, che hanno condizionato per sempre la sua vita”.  David Parenzo e Giuseppe Cruciani strabordano dalla radio al palco con il loro “Zanzara tour” (prossime date Varese Cremona Montecatini). Al Carcano di Milano va in scena il “quiz show” di e con Lella Costa sui Promessi sposi. Ma che è un quiz show? Spettacolo per professoresse nostalgiche delle interrogazioni di quinta ginnasio? O per masochisti ex alunni? Comunque, un grande successo. Si ha voglia di stare accalcati, di vivere un’esperienza anzi experience dal vivo, naturalmente di instagrammarla, altrimenti è come non viverla affatto (anche se in ogni teatro prima dello spettacolo c’è sempre un’avvertenza, “è vietatissimo far fotografie”, che risale a protocolli pre-iPhone o Instagram, è chiaro. E’ come il divieto di azionare il cellulare sull’aereo, nessuno lo rispetta veramente, sennò a teatro non ci andrebbe nessuno).

 

Il manufatto culturale (libro o giornale) non lo vuole più nessuno, ma il live (col feticcio di the author is present) dilaga.  Il nuovo teatro dei giornalisti e dei televisivi e radiofonici trionfa, e non c’è nostro collega che ormai non sia dotato di microfoni speciali e non stia seguendo un coach teatrale, perché fa o sta per fare un “live podcast”, cioè uno spettacolo dal vivo, e i teatri sono tornati a essere centrali nelle città. E polifunzionali, e inclusivi, certo, un po’ come le librerie che vendono magari più gadget che libri, il tagliapizza con la faccia di gatto e gli animaletti di gomma dura. Poi c’è quel genio di Andrée Ruth Shammah che ha trasformato il Franco Parenti non solo in stabilimento balneare con le piscine dei celebri “Bagni misteriosi” d’estate, ma ora, gelate le vasche, anche in un Rockefeller center meneghino con la “pista di pattinaggio più suggestiva di Milano che apre i battenti tra luminarie scintillanti, mercatini e spettacoli con la squadra di pattinaggio artistico sincronizzato Ladybirds e la videoproiezione della favola Corvi, Colombe e le Luci della Natura”.

 

E la lirica? Si attende alla Scala tra due giorni  la consueta Prima, quest’anno con una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di  Šostakovichč già censurata da Stalin in persona, mentre a Roma fino a domenica prosegue il Lohengrin michielettico, che tra uova e cigni tombati e altre simbologie surrealiste e sgocciolanti è sempre affollato, nonostante le quasi cinque ore di durata che dovrebbero scoraggiare anche i più melomani. Per la prosa, tutti accorrono al rinnovato Teatro della Cometa di fronte al Campidoglio. Opera dell’architetto Tomaso Buzzi, su commissione della leggendaria Mimì Pecci Blunt (sposata in realtà Blumenthal, e nipote di Leone XIII, quello della Rerum Novarum). Dimenticato da anni, è stato riaperto da Maria Grazia Chiuri,  la stilista già a Dior e ora a Fendi: raro caso di mecenatismo privato nella capitale, con gelosie dunque nei milanesi. Alla Cometa si è  appena concluso un molto applaudito Delitto e castigo dostojevskiano di prima qualità realizzato dalla compagnia Mauri Sturno diretta da Andrea Baracco, con giochi di  porte calate dall’alto un po’ ronconiani, che aggiornano l’adattamento dello spettacolo che vent’anni fa Glauco Mauri studiò per sé e Roberto Sturno. Ma qui lo spiantato studente Raskolnikov, insofferente all’ingiustizia e al nonsense del mondo,  oggi forse  pro Pal (ma chissà, forse invece calendiano osservante) è interpretato da uno strepitoso attor giovane Gabriele Graham Gasco in tuta Adidas rossa guizzante (la tournée continua al teatro Menotti di Milano fino a domenica). 

 

Sempre a Milano invece al Piccolo e anche qui fino a domenica  Per sempre, monologo e one-man-show di un altro promettente e già affermato attore e drammaturgo giovane, Alessandro Bandini, che mette in scena con  prova mnemonico-agonistica le infuocate lettere di Giovanni Testori. E’ un inedito carteggio d’amore, nello specifico col francese Alain Toubas, attore-gallerista ventenne con cui l’autore dell’Arialda ebbe lunga e intensa passione. E’ un Testori diverso da quello che ci si ricorda, lo scrittore dei Segreti di Milano, un Testori tenero e grafomane (anche quattro lettere al giorno), e  pure un po’ arrapato, quando chiede al suo francese di spedirgli pacchi di slip possibilmente usati, c/o Novate Milanese, tra i postali perplessi. Erano altri tempi, anche se la Milano anni Cinquanta piovigginosa delle missive sembra quella di questi giorni, però  non c’era ancora Vinted, vabbè. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).