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la rilevazione

L'Italia a due facce nei numeri del Censis. Alcune sorprese e qualche brivido

Stefano Cingolani

Rapporti sessuali più frequenti, il ceto medio malato e una politica più lontana che mai, mentre il 30 per cento degli intervistati crede che le autocrazie siano più adatte allo spirito dei tempi. Tutti i dati del nuovo rapporto

Il Censis quest’anno ci presenta degli italiani bifronte come Giano: una faccia guarda terrorizzata a un mondo che non riconosce più, l’altra invece cerca riparo e conforto nella propria capacità di resistere e di adattarsi. Attorno a sé c’è “l’età selvaggia del ferro e del fuoco”, con il Grande Debito che mette in pericolo il welfare state, le guerre che minacciano libertà e democrazia, ma “gli italiani non sono tipi da prendere alloggio nelle confortevoli stanze del Grand Hotel Abisso”, impegnati a districarsi con sagacia e misura tra piccole cicatrici e grandi minacce”. Così scrive il rapporto curato dal segretario generale Giorgio De Rita e dal direttore generale Massimiliano Valerii, presentato questa mattina come ogni anno al Cnel. E questa ricerca consolatoria del piacere vede un vero e proprio trionfo del sesso “liberato dalle antiche censure”

E’ una delle novità e delle sorprese di quest’anno. I rapporti sessuali tra le persone di 18-60 anni sono molto frequenti. I performanti fanno sesso ogni giorno (sono il 5,3 per cento del totale), gli attivi hanno rapporti due o tre volte alla settimana (29,9 per cento), i regolari una volta alla settimana (27,3 per cento), i saltuari con una cadenza tra il mensile e il quadrimestrale (21,9 per cento), gli occasionali una volta ogni cinque o sei mesi (7,1 per cento) e gli astinenti (chi non fa mai sesso) sono l’8,5 per cento. Un sesso normale, senza barriere, ma niente a che vedere con l’immagine predatoria alla quale i media ci hanno abituati: “Il 78 per cento pratica con regolarità i preliminari prima del coito”.

Ma vediamo adesso le grandi minacce alle quali gli italiani cercano di sfuggire ancora una volta rifugiandosi nel privato. “Ci siamo inoltrati in un’età di predatori e di prede – scrive il rapporto –  E il grande gioco politico cambia le sue regole, privilegiando ora la sfida, ora la prevaricazione illimitata. Perciò il 62 per cento degli italiani ritiene che l’Unione europea non abbia un ruolo decisivo nelle partite globali. Il 53 per cento crede che sia destinata alla marginalità in un mondo in cui vincono la forza e l’aggressività, anziché il diritto e l’autorità degli organismi internazionali. Per il 74 per cento l’American way of life non è più un modello socio-culturale, un tempo da imitare e oggi irriconoscibile. Moriremo post-americani? Il 55 per cento è convinto che la spinta del progresso in Occidente si sia esaurita e adesso appartenga a Cina e India. Il 39 per cento ritiene che le controversie tra le grandi potenze si risolvano ormai mediante i conflitti armati, i cui esiti fisseranno i confini del nuovo ordine mondiale. E il 30 per cento condivide una convinzione inaudita: le autocrazie sono più adatte allo spirito dei tempi”. 

C’è da farsi venire i brividi, ma anche da cercare il perché. Una delle spiegazioni è economica prima ancora che sociale. L’aumento vertiginoso dell’indebitamento delle economie occidentali le rende fatalmente più fragili. Tra il 2001 e il 2024 nei paesi del G7, a fronte di una stentata crescita dell’economia, il debito pubblico è lievitato dal 75,1 per cento al 124,0 per cento del pil. Nel 2030 il rapporto debito pubblico/pil nei paesi del G7 supererà il 137 per cento, ritornando prossimo al livello raggiunto nel 2020 a causa della pandemia, quando sfiorò il 140 per cento. “Si annuncia uno shock per le finanze pubbliche analogo a quello vissuto durante l’emergenza sanitaria, ma questa volta il debito record sarà maturato in condizioni ordinarie, in assenza di una pandemia. Il Grande Debito determina una mutazione ontologica dello stato: da stato fiscale a stato debitore”. E ancora: “L’ingente debito e la bassa crescita, legata all’invecchiamento demografico e alla riduzione della popolazione attiva, congiurano per un inevitabile ridimensionamento del welfare (il welfare state è un fenomeno storico, non imperituro: può nascere e svilupparsi, ma anche estinguersi). A settembre il debito pubblico italiano ha toccato la cifra record di 3.081 miliardi di euro (+38,2 per cento rispetto a settembre 2001). Nell’ultimo anno la spesa per interessi è stata pari a 85,6 miliardi, corrispondenti al 3,9 per cento del pil, il valore più alto tra tutti i paesi europei (ad eccezione dell’Ungheria: 4,9 per cento), anche più della Grecia (3,5 per cento) e molto al di sopra della media europea (1,9 per cento). Gli interessi pagati superano non solo la spesa per i servizi ospedalieri (54,1 miliardi), ma l’intero valore degli investimenti pubblici (78,3 miliardi) e ammontano a più di dieci volte quanto l’Italia spende in un anno per la protezione dell’ambiente (7,8 miliardi)”. 

Il ceto medio è malato, ha la febbre. “La regressione demografica, con il progressivo invecchiamento della popolazione e i tassi di natalità in caduta libera, provoca l’arresto dei processi di proliferazione delle piccole imprese”. Si indebolisce anche l’altro pilastro: il lavoro. Nel 2024 il valore reale delle retribuzioni risulta inferiore dell’8,7 per cento rispetto al 2007. Nello stesso periodo il potere d’acquisto pro capite ha subito un taglio del 6,1 per cento, nonostante il recente parziale recupero (+2,0 per cento tra il 2022 e il 2024). 

         

 

La politica appare più che mai lontana. Secondo il 72 per cento degli italiani la gente non crede più ai partiti, ai leader politici e al Parlamento. Il 63 per cento è convinto che si sia spento ogni sogno collettivo in cui riconoscersi. L’unico leader con una proiezione globale che ottiene la fiducia della maggioranza degli italiani (60,7 per cento) è Leone XIV. “Da una parte ci sono i leader europei − il nostro nuovo pantheon politico − con i volti sgomenti come pugili suonati, sotto i colpi sferrati da est e da ovest. Invece di rassicurare, esercitando la tradizionale funzione dell’offerta politica, eventualmente con il ricorso spregiudicato alla menzogna, annunciano la catastrofe, ci mettono davanti al pericolo di morte. Dall’altra ci sono gli italiani, per i quali non è scattato l’allarme rosso: l’apocalisse può attendere”. 

Non si segnalano tentazioni di radicalizzazione: per il 47 per cento le divisioni politiche e la violenza che scuotono gli Stati Uniti sono impensabili nella nostra società. E un intervento militare italiano, anche nel caso in cui un paese alleato della Nato venisse attaccato, è disapprovato dal 43 per cento. Il 66 per cento ritiene che, se per riarmarsi l’Italia fosse obbligata a tagliare la spesa sociale, allora dovremmo rinunciare a rafforzare la difesa.

Sull’immigrazione prevale la voglia di limitare i flussi anche se sono il 9,5 per cento della popolazione (nessuna sostituzione etica) e fanno lavori che gli italiani cercano di evitare (quindi nessun furto dei posti di lavoro). Anche qui Giano ha due facce: gli immigrati vanno bene se accudiscono gli anziani e i bambini, non quando chiedono gli stessi diritti degli “autoctoni”.

Come far fronte a questa doppiezza che alimenta non solo disaffezione, ma anche stagnazione economica e sociale? La politica “alta” non piace e provoca rigetto, dunque, la via d’uscita è in pieno spirito Censis: “Una politica ibrida che non abbia visioni astratte del futuro e si tenga vicina alle dinamiche sociali di rigenerazione interna”. Consapevoli che “accanto alla politica vivono meccanismi profondamente radicati nella società che trova nei suoi processi storici stratificazioni successive delle istanze individuali da interpretare e accompagnare, che integrano nell’azione politica il faccia a faccia con il presente”. Funzionerà? Val la pena provare.