speciale 7 ottobre

Cronaca semiseria di una banalizzazione in corso: perché il 7 ottobre “ha rotto er cazzo”

 Andrea Minuz

Le chat da cui siamo usciti, gli appelli che ci chiedono di firmare, la rimozione del terrorismo, gli ebrei come ostacolo alla pace. A passeggio nella rimozione collettiva
 

Insomma, ora che s’intravede in lontananza una qualche fine (forse, chissà, speriamo), questo secondo 7 ottobre diventa anche l’occasione per un bilancio personale e l’impatto che la “cosa” ha avuto e continuerà ad avere sulle nostre vite. Sulle amicizie che avevamo, le cene che non facciamo più, le chat da cui siamo usciti in silenzio alle tre di notte e le persone con cui fino al 6 ottobre 2023 parlavamo di tutto e con cui ora scambiamo solo saluti educati e distanti, come vecchi amanti che si incrociano al supermercato fingendo di andare di corsa. In questi due anni ho sentito colleghi, conoscenti, persone che forse stimavo ripetere piano piano gli stessi identici slogan di Hamas: “Israele stato terrorista”, “apartheid”, “Gaza prigione a cielo aperto”, “75 anni di occupazione coloniale”, “non sono antisemita ma antisionista”, e naturalmente sgolarsi con “genocidio” – infilato in ogni frase, mandato in loop così tante volte da renderlo alla fine incontestabile, scolpito nella pietra, verità rivelata, da cui la gigantesca stronzata: o sei contro o sei complice, nessuna via di mezzo, nessuna sfumatura possibile. Poi li ho visti impassibili, sereni, tranquilli, davanti allo show di Hamas con i Bibas, le bare, la musica a palla, la folla in estasi come a un concerto dei Coldplay.

Mi sono imbattuto in studenti accampati in Università che parlavano dei “fratelli della resistenza” e dei “partigiani” di Hamas e li ho sentiti domandarsi quale fosse il fiume e quale il mare della fatidica canzone che cantavano ai cortei (il Tigri? L’Eufrate? Il Tamigi? Boh). Ho visto un chihuahua con la kefiah. Una bandiera con scritto “Gaza” all’ingresso di una sala Bingo. Ho letto “Palestina libera” firmato con una svastica su un muro di Roma cui qualcuno ha poi aggiunto “...e Lazio merda”, come una sintesi geopolitico-calcistica perfetta, l’intersezionalità suprema: anche Casa Pound sostiene la Palestina che “lotta per la patria”. Ho visto una spilletta palestinese sul décolleté di Selvaggia Lucarelli a “Ballando con le stelle”. Ho sentito uno speaker di RadioDeejay lamentarsi in diretta della “lagna del 7 ottobre” mentre il tassista sintonizzato annuiva, concordava (“hanno rotto er cazzo”, diceva per la precisione, con la stessa nonchalance con cui anni fa si scagliava contro il green-pass, i vaccini, le auto blu – dalla Casta agli ebrei è un attimo). Ho sentito con le mie orecchie persone pacate e un tempo moderate indignarsi molto, molto di più per Greta Thunberg avvolta nella bandiera israeliana che per gli ostaggi scheletrici costretti a scavarsi la fossa nei tunnel sotto Gaza. Ho sentito giornalisti definire “civili inermi” gli abitanti di Gaza che nascondevano gli ostaggi sotto il letto. Ho letto articoli del “Post” (di cui vorrei qui ricordare la magistrale definizione di Hamas come “gruppo radicale”, solo un po’ scalmanato) che spiegavano con piglio neutro e imparziale che giornalisti aficionados di Hamas erano morti da martiri dell’informazione e ce li avevamo tutti sulla coscienza. In questi due anni ho ricevuto un numero incalcolabile di appelli in cui qualche collega della mia o altre università mi invitava a interrompere la mia “complicità col genocidio”, a boicottare l’università di Tel Aviv o un qualche progetto di ricerca in corso o almeno il Carrefour sotto casa.

Appelli in cui mai, neanche una volta, ricordo di aver letto la parola “ostaggi” o “Hamas”, nemmeno in miniatura, in calce alla lettera, in quelle microclausole delle polizze assicurative che rendono praticamente inutile l'assicurazione quando ti serve davvero. Non ho più sentito nessuno dire che il pogrom del 7 ottobre (la cosa tecnicamente più vicina allo “spirito di un genocidio”) doveva far saltare gli accordi in corso tra Israele e Arabia Saudita per avviare un processo di normalizzazione della Striscia. In compenso, ho visto persone realmente rattristate per la morte di Sinwar e in ansia per Hezbollah e l’Iran degli Ayatollah. E come sapete bene potrei andare avanti a lungo. Ieri un collega universitario che sta per andare in pensione mi diceva: avremo generazioni di studenti che cresceranno nella convinzione che radicalismo islamico e libertà sono sinonimi, che la causa di Hamas è un sequel della nostra Resistenza e che gli ebrei sono il freno malefico al cambiamento di questo mondo in un mondo più giusto. Buona fortuna!

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