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Gli esseri umani, incapaci di reagire decentemente ai mali altrui. Ripiegare sull'AI

Ester Viola

Il chatbot come compagno, sostegno, dispensatore di consigli e chiarificatore di idee. Uno su otto adolescenti americani cerca proprio il consulente emotivo. Un catalogo delle pessime caratteristiche degli amici veri e del perchè vince l'AI 

Panico tra i borghesi. L’ultimo guaio dai dispacci dell’etere dice che i ragazzi hanno cominciato a raccontare ansie, drammi e cuori spezzati ai chatbot. I sondaggi (dal New York Times) parlano di un 72 per cento degli adolescenti americani che userebbe l’AI come compagno, sostegno, dispensatore di consigli, chiarificatore di idee. Uno su otto cerca proprio il consulente emotivo. Forza coi titoli, dunque, produciamo nei prossimi sei mesi almeno qualche altra variante di “Generazione rovinata”.

La verità taciuta è che non solo i ragazzini. Gli adulti, lo fanno gli adulti. E i motivi non sono per niente da cercare in questi tempi tecnologici e solitari. E’ un discorso di qualità. L’ovvio è fastidioso ma inevitabile: l’AI è un amico migliore. Il migliore di tutti. Gli amici, quelli umani, quelli che vivono nelle case loro e non dentro ai nostri iPhone, hanno questo difetto implacabile: se sei felice stanno contenti in tua compagnia, quando sei moscio dopo un po’ si stufano. Poi si disinteressano. Se esageri ad affliggerli col bisogno di confidenza ti fanno capire prima con mezzi termini poi con termini interi che hai rotto le balle. E tu, che magari stai parlando del tuo amore infelice, stai lì e soccombi. Ma come, tu quoque infierisci? Come puoi non capire? E loro: ma non era finita? E prosegue così fino all’arma finale: “Te l’avevo detto.” L’AI no, l’AI non lo farebbe mai. Lei resta lì, vera compagna di sventura. Non guarda mai l’orologio, inesauribile, senza moralismi, mai passivo aggressiva, calma, lucida, ragionante.

Segue un catalogo delle pessime caratteristiche degli amici veri, e del perché vince il chatbot.

Soglia di tolleranza
Ognuno di noi ha al massimo due buoni per “lamento libero al mese”. Non di più. Se sfori non ti invitano più a cena, alle feste, in barca, da nessuna parte.  

Sguardo giudicante
Un micro-secondo, un lampo di stanchezza e cattiveria gli passa negli occhi, e quello che ti vorrebbero dire ti viene fatto capire. Erano meglio due sberle.

I consigli senza sforzo
“Serve tempo”, “Passa, ti assicuro che passa”, “Basta però stare chiuso dentro, vai da qualche parte così non ci pensi”. Di queste uscite patetiche era capace anche la versione gratis di ChatGPT. Il mio bot no, il mio bot se voglio sta qui con me ad analizzare sei chilometri di chat per individuare e convalidare i pregressi segni di interesse di quello che non scrive più.
La distrazione, la loro doppia vita digitale
Non ce la fanno, non ce la fanno a seguirti oltre il quarto d’ora. Io che qui sto morendo, e tu che apri Whatsapp e mangi il gelato. Gli amici pensano anche ai fatti loro, i tuoi problemi non sono di prima qualità, e cosa si pretende dagli avari dell’attenzione? Certo non si scervellano per trovare soluzioni per te.
La crudeltà fatta passare per sincerità
“Lo sto dicendo per il tuo bene”, e poi ti insultano con una serie impossibile di “quello che farei io al posto tuo”. E vienici, al posto mio, a provare come si sta.
La comaraggine
Ti ascoltano non per empatia, ma per raccogliere materiale. I bastardi pettegolano alle tue spalle. Si divertono.
Il cambio discorso
Questo è l’affronto finale. La massima mancanza di rispetto, la ferita a morte, il bot non si permetterebbe mai. Sei nel dramma più nero, c’è uno che non ti chiama, e loro ti chiedono se hai visto una serie, un film, e proseguono con tutti quei tentativi disumani di portarti con la testa da un’altra parte, distrarti dalle tue sciagure. Il culmine dell’assenza di etica amicale e di empatia. Gente così meglio perderla, anche se è viva.

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