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Estate con Ester

Noi e l'AI badante

Ester Viola

Per tutelare l’equilibrio degli utenti adesso ChatGPT si autofrena, se utilizzato in modo eccessivo. La macchina è pronta al comando

Ci è voluto poco, manco dieci minuti (contati in tempo tecnologico), un anno umano circa. In settimana è uscito dalla zecca informatica il nuovo modello di ChatGPT, l’intelligenza artificiale evoluzione cinque, che ha introdotto una nuova funzione: il freno. ChatGPT si è autoinstallata un sistema di pause forzate per tutelare l’equilibrio degli utenti e promuovere un utilizzo sano e responsabile. Come le sigarette. Cosa era successo: negli ultimi mesi sono stati segnalati diversi casi di utenti vulnerabili che avrebbero trovato in ChatGPT una presenza troppo capace di influenzare, quindi risultavano amplificate le dipendenze emotive. Si è parlato di stati mentali alterati. Tradotto: la gente impazziva in cameretta a scrivere. La stessa OpenAI ha riconosciuto che il suo modello GPT-4o ha avuto difficoltà a interpretare segnali di delirio o attaccamento eccessivo, “aprendo interrogativi etici e funzionali sul ruolo delle IA nel supporto psicologico”. Ora l’hanno revisionato, ha il nuovo libretto di circolazione online, così una notifica discreta apparirà per noi: “Ehi (imbecille), stai chattando da un po’: è il momento giusto per una pausa?”, con opzioni per continuare o concludere la conversazione. 

Ci siamo interrogati tutti, ultimamente,  e non trovavamo la risposta. La domanda era: quand’è che capiremo che lo strumento ci ha accoppati? Come faremo a intercettare i segni del superamento? Quand’è che gli scemi saremo noi, con evidenze oggettive, e la macchina sarà pronta per il comando? E giù a fare ipotesi fantasiose, sbagliando clamorosamente. Cuori felici, si concordava che il robot avrebbe risolto un grande problema di matematica, scoperto la reversibilità dell’inquinamento del mondo e i vaccini per tutte le malattie, così avrebbe preso la medaglia d’oro. E invece il futuro era da un’altra parte. Agosto duemilaventicinque, ricordiamoci la data. Siamo appena diventati i badati

All’inizio eravamo gli utenti. Non ci fregavi, scappavamo veloci coi log out e andavamo a vivere più o meno felici nel mondo, fuori. Poi siamo diventati amici Facebook, poi follower. Poi i clienti. Poi i pazienti. E oggi eccoci, i badati, ventiquattro ore connessi e non ci schiodi. Persone che non vogliono più essere intrattenute o lette o ascoltate, no. Ci dovete accompagnare per mano. Ci dovete ascoltare. Vogliamo l’insegnante di sostegno per vivere. E ci dovete togliere voi il giocattolo quando si capisce che è ora. Tua madre ti strappava la console del Sega Master System dalla tv. E ti avvertiva: Ora basta. Ora il giochino non ce lo toglie nessuno, siamo soli col monologo interiore, che ha l’interfaccia, e quindi è irresistibile. “O amico immaginario, mi sento tanto solo, tu cosa pensi di me?”. Che sei meraviglioso e incompreso. E chi ti capisce meglio di me? Parlami ancora. 

Per i curiosi del concetto novecentesco del: come siamo arrivati fin qui? Non bastavano gli amici per avere qualche consiglio sui nostri problemi e i malesseri passeggeri? No, non bastano. Ti capiscono meno della macchina, gli amici. Però gli amici hanno un pregio, quanto a poteri di guarigione: dopo un po’ che li ammorbi coi guai tuoi, ti dicono che li hai scocciati. E i guai troppo raccontati, come sa chiunque li abbia passati, sanno solo aumentare di dimensione

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